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LA MALATTIA CHE SONO


Camminavo da solo, questo pomeriggio, a testa bassa, in un viale nemico, come spesso mi accade. Camminavo come un rassegnato, come un deportato, senza sapere chi ero e neppure se c'ero. E tutt'a un tratto ho capito. È proprio questo non sentirsi esistere che uccide. È da qui che ci si comincia a perdere, a chiedersi se è colpa tua o se sei stato strumento, vittima, occasione. Beffa. Non sapere più chi si è, chi non si è, chi non si è mai stati, cosa essere a fare e se a qualcuno importi. Se abbia un senso tutto questo silenzio che è diventato il mio specchio. Il mio unico specchio. E ti dicono che hai coraggio ad ammetterti così. Ma quale coraggio può servire a chi sta oltre la disperazione, scoria della volontà, somma dei suoi rifiuti e dei suoi sbagli? Voglia di dormire, sempre, e non riuscirci mai. L'infermo che nessuno vede cammina, da solo, a testa bassa, mentre annotta, troppo stanco per qualsiasi domanda. Vergognandosi di ogni suo momento. Di ogni sorriso. Tentativo. Sconfitta. Illusione. La vergogna, è quella che distrugge di più. La mortificazione di ogni giorno, in ogni gesto. Fai confronti, e da tutti esci perdente. Perfino da quelli con te stesso. Soprattutto da quelli. Ieri cos'eri? Sai spiegarti il tuo vivere antico? O è chi ti legga la mano a ritroso, che vai cercando? Sensazioni che si riverberano, che succhi fino a consumarle. Ogni passo ti calpesta, è il riflesso del tuo sbandare, una deriva senza appigli, senza rotte da ritrovare. Sentirsi un giorno più buono, un altro più cattivo. Non volerne sapere di nessuno, volerne sapere di tutti. E niente cambia la malattia che sono. Poi mi sono sentito guardarmi dal di fuori. Ho visto un uomo senza qualità, senza personalità. Senz'anima. Senza tutte quelle piccole cose, gusti, abitudini, manie, piaceri che fanno un uomo, che lo mettono insieme e fanno dire a chi lo conosce: lui è così. Mi sono deprivato di tutto, scoprendo mio malgrado la cinica crudeltà del Vangelo, la sua follia: un uomo, senza qualche vizio, qualche segreto, qualche timido lusso, qualche ambizione che cos'è? È un uomo fatto di silenzio, di passi impiccati ad un viale straniero, occhi bassi che ogni tanto si levano, danno un'occhiata intorno, si riabbassano subito, stanche saracinesche schiacciate dal silenzio. Un silenzio che a me pare il capolinea di un binario morto, che rende indicibile il viaggio. Che piano piano ha asciugato tutto. Che non ha risparmiato il mio orgoglio, il mio coraggio. Che sta divorando anche le mie parole. Queste sono già parole di silenzio, parole che non fanno rumore, come un albero che cade nella foresta. Ama il prossimo tuo come te stesso! Ma no, qui è finito il tempo di odiarsi ed è giunto quello dell'auto-indifferenza, che ti porta a rinnegare ogni momento di te, quelli già spesi e quelli che non vorrai. Perché ti pesa anche solo pensare, ti pesa respirare, ti pesa camminare eppure non puoi non farlo, lungo un viale ostile che non porta da nessuna parte.

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