Passa ai contenuti principali

NOSTALGIA D'IGNOTO

Venditore di felicità

NOSTALGIA D'IGNOTO
Per il prossimo numero della fanzine Figaro, dedicata a Renato Zero, che uscirà tra poco, ho fatto insieme alla direttrice e amica Anna Lamenza una intervista a Tito Schipa jr, figlio di cotanto tenore, artista e agitatore culturale, demiurgo tra le altre cose di Orfeo 9 che fu la prima rockopera in Italia e insieme allo stesso Zero lanciò, tra gli altri, Loredana Bertè, Bill Conti (vi dice niente la colonna sonora di Rocky?), Tullio de Piscopo eccetera. È una intervista coi controcoglioni, nella quale Schipa tratteggia momenti romani irripetibili di fine anni Sessanta, quando a casa sua poteva capitare d'incrociare Stash, il figlio di Balthus che a 24 anni s'accompagnava con una ninfetta 15enne di nome Romina Power, la già molto scafata Anita Pallenberg insieme a Mario Schifano, e chissà che non facessero un salto pure Mick Jagger e Keith Richards incontrandosi sulla soglia con Pier Paolo Pasolini. Anni evaporati, dannazione. Schipa dice molte cose, alcune discutibili, come la distinzione, trita e ritrita, fra droghe “buone” e droghe letali, che è un alibi per chi è passato per certi deliri. Deliri, tuttavia, a volte sterili, o velleitari ma altrimenti fecondi e c'è in particolare un passaggio, di Schipa, che viceversa si può soltanto condividere: “In quella Roma poteva capitare di uscire a prendere le sigarette e rincasare dopo una settimana”. Che nostalgia, maledizione, di un tempo mai vissuto, di una libertà visionaria ma almeno libera, perdio: poi uno si chiede perché di artisti oggi non ne nascono più. Ma perché oggi l'artista è la cosa più bandita al mondo, questo mondo che qualcuno definisce liquido, ma più appropriatamente orizzontale, dove tutto deve essere sterilizzato, omogeneizzato, livellato. Non c'è ambito dell'espressione o della creatività che non sia in mano ai correttori automatici, alle livelle di mediocrità. Difendere un'idea, una genialità è impresa disperata e insensata. Criminale, essere artista oggi, qualsiasi cosa si faccia, è l'unico crimine. Quelli come Schipa almeno possono rimpiangere il loro tempo: noi possiamo solo rimpiangere il rimpianto e i nostri figli, fortuna per loro, neanche quello: non si rimpiange ciò che non si sospetta.
Certo, tante cazzate, alcune micidiali, anche allora. Ma, scemenza per scemenza, mi ostino a preferire quelle che almeno puntavano ad una genesi. Cosa è rimasto, adesso, se non il perverso piacere della nullità espresso in un gergo allucinate, da fuciliazione? Una parente, che è anche collega, si è sentita rispondere da un interlocutore milanese, con cadenza milanese, che un certo progetto è “in fase di cantierizzazione”. Ecco perché da Milano mi tengo alla larga: ogni volta che ci capito, mi picchio con qualcuno, mi basta solo sentirlo parlare. Penso che l'idea di Bin Laden non fosse del tutto da scartare, applicata al Pirellone e alla Torre Velasca avrebbe avuto un suo perché. Con la “é” larga come una cotoletta alla milanese.

Commenti

  1. Mentre da una parte la ringrazio davvero per l'attenzione e le considerazioni fatte, devo farle notare che alla mia richiesta di porre l'argomento droghe su un piano scientifico e razionale lei ha risposto col solito argomento vagamente sprezzante e basato sul nulla. Peccato, così peggioriamo la situazione...
    Tito

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Guardi, nessuno sprezzo: sciascuno si faccia di quello che crede, non sono proibizionista, non mi fa paura una siringa più che una pasticca o un cannone, ho vissuto abbastanza per conoscerne di ogni genere, anche mascherate. Basta non insistere nel cercarne di "buone": questa, ribadisco, era una sciocchezza, anche pericolosa, allora, e lo è a maggior ragione oggi. Sul punto la penso come Zappa (e Zero), e la "scientificità" nell'approccio, che lei sembra pretendere, lo conferma sempre più; in ogni modo, se è un approccio personale, è legittimo; se diventa una pretesa, diventa inaccettabile. Saluti.
      Max

      Elimina
  2. Ma scusi, chi ha mai parlato di droghe "buone"? Comunque, se essere fraintesi è obbligatorio, meglio lasciar perdere. L'ha già fatto la Rai a suo tempo per tutti...












    RispondiElimina
  3. E, aggiungerei, ciò che è scientifico non può essere "inaccettabile".

    RispondiElimina
  4. Certamente, se la scientificità la traccia lei, però. Mettiamola così, ho frainteso io (per esempio nel libro Underground italiana di M. Guarnaccia), anche se mi pare che stiamo ragionando sulla suggestione di un'epoca, alla quale sono immunizzato. Non sono la Rai di 40 anni fa, non censuro nessuno (come vede), non ho tempo nè voglia di giudicare una generazione. Semplicemente mi ribello al conformismo, sia mainstream che underground, sia della maggioranza che della minoranza. E a certi cliché/alibi che non reggono più.

    RispondiElimina

Posta un commento