Dimmi che mi ami
DA
LIO
Le
mie piccole nicchie di resistenza umana non le uso solo per
sopravvivere: io le metto in contatto, le intreccio, le comprometto e
così, questa volta, ad accompagnarci alla Tenuta del Conte, dove
senza tirarcela alla “bio” gastronomia si mangia come a casa
perché è tutto fresco di giornata, ci abbiamo
portato la nostra amica Roberta che ha la libreria Arcobaleno dove
ugualmente mi sento a casa e dove ho abbozzato i miei primi reading in
anni che furono. Roberta, naturalmente, è entrata alla Tenuta da
ospite ed è uscita da amica dopo lunghe chiacchierate e qualche
lacrima con Alberto e Maria Grazia su vita, morte, gatti, cibo e
umanità senza confini. Già che c'era, Maria Grazia mi ha incaricato
di salutare Paolino Benvegnù, che qui aveva alloggiato un mese fa, e che
ho fatto “conoscere” al telefono a Francesca, che aveva dormito
nella stessa stanza prima di lui, e dopo Mauro e Antonella, che di
Paolo son diventati amici. Tanto per dare l'idea delle ragnatele esistenziali che amo tessere.
Usciti dalla Tenuta era ancora presto, le undici passate da poco, e
siamo saliti a casa nostra a spettegolare di vari pazzi che
conosciamo e ci rallegrano la vita, e a perderci in divagazioni;
com'è, come non è, alle tre del mattino suonate da un pezzo stavamo
ancora lì a sdilinquirci su youtube con le clip dei successi anni
Settanta. Questa è la mia vita, regolare nella sua sregolatezza, non
voglio cambiarla nei suoi ritmi e non potrei mai frequentare gente
dall'orario tabellare. Fortuna che mia moglie la condivide.
Naturalmente, serate così lasciano una maledetta scia nostalgica e
oggi, senza sapere come, m'ha invaso la mente un grazioso fantasma
dei miei sedici anni. Ho cercato sulla solita youtube e Lio, quella
di “Amoreux Solitaires”, c'era, e come se c'era.
A
rivederla era proprio intrigante quella Lolita, niente di che
fisicamente ma una sensualità, una malizia sul viso dall'innocenza
appena sporcata, che non poteva lasciare tranquilli gli adolescenti
di tutto il mondo. Un piccolo, ottimo, morboso prodotto costruito a
tavolino, niente da dire, anche se le canzoncine, trent'anni dopo,
faticavo a sentirle fino in fondo. Ma io non vedevo tanto lei quanto
i sogni che il ragazzino che ero si concedeva. Lio avrei voluto
averla ma non possederla, non credo d'averci mai fantasticato sopra
sessualmente, era qualcosa di troppo grande per me. Lasciatemi dire
una cazzata grande come l'adolescenza, ma io l'avrei voluta con me
per capire, per uscire dalla gabbia di tutto quello che ero, per
riscoprirmi quello che sentivo di essere dentro ma poi non riuscivo
mai a diventare. Qualcosa come ne “L'interprete di un film” di
Lucio Battisti, il protagonista che fa l'amore con la donna sognata e
si scopre splendido come mai si sarebbe immaginato, al punto che
ormai lo resterebbe, sublime paradosso mogoliano, anche senza di lei. Io
Lio la volevo per andarci in giro, per succhiare la sua complicità e
stregarla con il mio carisma, per inventare pomeriggi meravigliosi in
fuga per la città a bordo di una Vespa; se mai ci fu sedicenne
romantico (e melenso), quello io fui. E siccome il destino m'ha
sempre perseguitato, una volta me la ritrovai davanti, un mesto
pomeriggio di una domenica di maggio al lago dei Cigni di Milano 2.
Stava facendo un servizio fotografico con un costume intero a pois,
roba semplice, lei, un fotografo e niente altro. Ci guardò, a me e
al mio amico Gero, di 10 anni più grande, che se la tirava da
sciupafemmine ma non lo vedevo mai con una femmina, ci guardò la sirenetta belga che a me sembrava immensa, ci guardò per un attimo a
metà tra l'incuriosito e, forse, l'imbarazzato, ma probabilmente
erano i nostri occhi fuor dalle orbite, ma capimmo subito che non
gradiva e la lasciammo al suo servizio. Quel costume l'avrei rivisto
pochi giorni dopo in tutte le edicole, sulla copertina di un
giornaletto per ragazzi che mi pare si chiamasse “Boy”. Sapete
quando si sfiora la beatitudine per un pelo, e, chiaramente, ci si
sta malissimo. Io poi la mia piccola Lio ce l'avevo a scuola, una
ragazzina di un anno più giovane, Silvia si chiamava (potessi mai
leggere queste righe per le misteriose vie di facebook), ed era
ancora più bella della Lio originale, solo che naturalmente non mi
si filava, non ci pensò mai o, se lo fece, non durò più di
un attimo e io perdevo autobus su autobus per beccarla “casualmente”
ogni mattina fino a scuola. Non la biasimo: tutto naso e capelli
scomposti, secco come un chiodo e lagnoso, complicato nei miei drammi
di giovane “sensibile”, non ero certo tra i ragazzi più popolari
del liceo Carducci, e cercavo di sopperire con la simpatia e la
disinvoltura. Andava sempre a finire che io, spedito in anvascoperta,
conoscevo le belle e gli altri ci si mettevano insieme e ci andavano
in avanscopata (o così facevano credere).
E Lio
danza, ammicca e mi seduce ancora con la sua vocetta perversa. E a me
mi sale una rabbia feroce, e una voglia più disperata ancora di
rifarmi, di riprendermi tutto, di ripartire da lì, ripartire da Lio
e avere ancora sedici anni e cambiare ogni cosa di me: scazzato,
coraggioso, disinvolto, straccione e insieme elegante, quello che in
America chiamano “cool”. Capace di trasgredire ma senza lasciarmi
travolgere, di non dormire mai e fare a pugni e suonare la chitarra e
segnare il gol vincente e sciorinare certe interrogazioni di
filosofia da applauso, certi temi che lasciavano presagire un
inevitabile futuro da scrittore; capace di prendermi e dare
confidenza con gli insegnanti e farli su, di mostrare a tutti di cosa
sono capace. E di riuscire a prendermi la Silvia-Lio, anzi di
degnarmi di accettare la sua corte implorante. Perché
non mi piaceva quello che ero, perchè non mi piace quello che ne
resta adesso, un pirata dei sentimenti, come mi vedono gli altri, che
non sono mai stato e che comunque mi ha stancato. E, ancora una volta,
ci sto male perché qui non si tratta di essere un altro ma proprio
di essere quello che sapevo di poter essere, senza più la fottuta
camicia di forza di un superio troppo ingombrante.
Sono
tornato al lago dei Cigni, sono lì e adesso mi faccio incontro al
ragazzo tutto naso e capelli, voglio parlargli, sai ragazzo, gli
dico, tu stai male, lo so, tu non stai bene ma devi uscire da questa
trappola, se no ti fregherà tutta la vita. Sai, ho scoperto che non
dovrai per forza vedere tutto quello che ho visto io, non dovrai
sempre accettare la morte nelle sue mille facce, non dovrai
raccogliere ogni sfida anche sapendo che la perderai, e non
pretendere di restare impermeabile ad ogni macchia...
Ma il
ragazzo si agita, tradisce un moto d'insofferenza, mi blocca: no, io
non starò a sentirti. Io non voglio ascoltarti, perché non mi fido
di te. Non mi piace quello che vedo, un grosso uomo disperato e
arreso che mi incita a non diventare come lui e invece mi sta
mostrando la strada proprio per trasformarmi in lui. No, io non ti
ascolterò, io voglio fare a modo mio, non voglio ascoltare più
nessuno perchè è proprio questo l'errore e anche tu, come tutti, mi
ci stai facendo cadere dentro...
Spunta
Lio col costume a pois e manda una risatella fresca come una cascata,
che mi uccide. Se ne vanno insieme, lei e il ragazzo col gran naso,
liberi e leggeri, acerbi sovrani della gioventù.
Molto bello, mi piace, ha tanti registri diversi e tanto sentimento!
RispondiEliminaEccome se me la ricordo la dolce Lio ed anche io l'ho desiderata per giocarci e per giocare al gioco del sesso adolescente com'ero e come eravamo, ma mai a far le porcate. Mi hai fatto tornare indietro quando non dovevo mollare la mia idea... Grazie
RispondiEliminaEhi toi diz-moi que tu m'aimes...credo....
RispondiEliminaavevo il 45 giri....e avevo 9 anni....quanto sono vecchia....mia madre parlava benissimo il francese, quindi ci andavo a nozze....