IL FORELLINO
“Adesso il calcio deve
farsi delle domande”. Che cosa ha voluto dire il commissario
tecnico della Nazionale Prandelli a proposito della morte del
ventisettenne calciatore Morosini? Prandelli dice e non dice, si
limita a suggerire quello che non può dire e cioè che non può
andare avanti così. Quaranta casi di morti sospette negli ultimi 30
anni, molti i malati terminali, alcuni misteriosamente giovani, tutti
gli altri attorno ai 60, 65 anni, come l'ultimo e più famigerato,
Carlo Petrini che era stato l'unico a parlare chiaro e della cui
morte, vedi caso, nessuno si è ricordato. Prandelli allude a
Petrini, anche a Zeman e del resto basta fare due più due, quelli
della generazione di Carlo crepano come mosche intorno ai 60 perché
i veleni che li imbottivano erano micidiali ma ad efficacia
ritardata, i ragazzi di oggi ci restano quasi subito perché al
confronto le bombe chimiche che gli fanno bollire il sangue e gli
fanno esplodere il cuore sono bombe atomiche. Giocano molto di più,
il gioco si è velocizzato all'impossibile, i soldi sono molti di
più. E cadono uno dopo l'altro: possibile che tutti, da Morosini al
miracolato Cassano, subito rispedito in campo, si scoprano lo stesso,
identico “forellino” nel cuore, sfuggito a chiunque? Ma se li
controllano e li analizzano da capo a piedi, ogni santo giorno! Il
forellino è il modo esemplare di uscirne quando l'autopsia non
fornisce le risposte sperate, equivale alla fatalità il forellino.
Ma non è fatalità.
Basta fare due più due.
Basta chiedersi, per esempio, come mai i libri di Petrini, così
colmi di rivelazioni precisissime e compromettenti sul doping, non
siano mai stati querelati neanche per sbaglio. Basta domandarsi
perché i processi sportivi, fin che è stato possibile, nessuno mai
li raccontava. Basta constatare l'imbarazzo generale e specialmente
quello di chi dirige la baracca, quello scantonare,
quell'arrampicarsi sugli specchi ad ogni “disgrazia”. Basta
scoprire quali pratiche mafiose tengono in pugno i laboratori di
analisi sportive. Ma è anche sufficiente scorrere la casistica e
notare che mai, mai una volta una morte viene spiegata in modo
convincente, scientificamente soddisfacente. Anche quella di
Morosini: fiumi di parole, di retorica, la ripresa di lui che cade
mostrata allo sfinimento, i megafunerali in diretta col maxischermo, ma
insomma di che cosa è schiattato?
Oppure basta avere un
figlio che pratica sport da pulcino, come si diceva un tempo. Tutti i
genitori sanno, o come minimo sospettano, che comincino a venire
bombardati di strane sostanze fin da piccoli, non è un mistero per
nessuno il modo criminale dei preparatori atletici di caricare i
giovani e giovanissimi atleti in erba e d'altra parte certi genitori
sono pronti a tutto sulla pelle dei figli, vuoi per stupida ambizione
vuoi perché li considerano investimenti sicuri, meglio dei lingotti
e del mattone. Con un figlio campione ti sistemi per le generazioni a
venire e un figlio campione lo ottieni a qualsiasi prezzo, vincere o
morire. Non solo nel calcio. Lo stesso giorno di Morosini è morta
una pallavolista venezuelana. Nel tennis le voci di doping fanno
ridere, è sconvolto anche dalla cocaina il tennis, esattamente come
il calcio. Nel ciclismo non ne parliamo, ieri hanno squalificato per
sempre il ciclista Riccò che come un vampiro onanistico si faceva le
pere del proprio sangue. Ho conosciuto personalmente ex agonisti che
a 30 anni erano già malati, semiparalizzati, ridotti come il mio
amico Petrini a 60. E mi confermavano senza problemi le abitudini
letali alle quali venivano avviati, un andazzo spietato, ragazzini
come cavalli del palio. E proprio come un cavallo è morto il povero
Morosini, con la schiuma alla bocca tentando invano di rialzarsi,
due, tre, quattro volte mentre i compagni assistevano terrorizzati
pensando che poteva toccare anche a loro. Il giorno dopo qualcuno di
loro è sbottato: basta, fermiamoci, fermatevi, non possiamo più
reggere così. Lo hanno subito fatto tacere. Petrini l'ultima
intervista concessa alle Jene in gennaio non ha fatto in tempo a vederla, bloccata si dice dalla Juventus e dal sempre vigile
Moggi. L'hanno mandata, credo, qualche giorno fa, a quel punto faceva
audience e poi i morti non fanno più tanta paura, si fa presto a
dimenticarli.
Ci sono anche di quelli,
già più morti che vivi, che non riescono più a parlare eppure
incredibilmente difendono o accettano di difendere il sistema che li
ha sfasciati, che li ha condannati. Ha detto Prandelli, ex
calciatore, che a questo punto il calcio deve farsi delle domande. Ma
quali, se è tutta colpa di un forellino nel cuore?
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