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IL GIUBILATO



IL GIUBILATO
Tutti ridono per come Emilio Fede è stato liquidato, con una pedata nel sedere dall'ingrata Mediaset che ha colto la storia, vera o verosimile, del direttore-spallone che cerca di passare il confine con una valigiata di euro. Tutti ridono, compatiscono e già rimpiangono: Fede è il Tg4 (sai che merito), non si fa così, non c'è rispetto neppure per i cani più fedeli, eccetera. Ma possiamo ragionare in modo asettico, prescindendo dal personaggio e dai suoi tratti spesso imbarazzanti? Fede ha passato gli ottanta, era ancora lì a biascicare le sue notizie e notiziole, Mediaset gli ha offerto una seconda e anche una terza età dopo che lui si era bruciato la prima in Rai per faccende di gioco e di malaffare lealmente riconosciute. L'uomo è stato riconoscente fino all'eccesso, e allo sfinimento, verso chi lo aveva recuperato, ma anche chi lo aveva recuperato, Berlusconi, la Fininvest, non è stato ingrato verso i suoi servigi: lo ha ricoperto di soldi, gli ha dato trent'anni di di benessere, di notorietà (come poi uno decide di spenderla, questa notorietà, è un altro discorso). Ed è una notorietà che non finisce mai completamente, c'è sempre un'ospitata, un libro di memorie, un'intervista, i cosiddetti vip, per quanto discussi e discutibili, trovano sempre modo d'ingannare la panchina ai giardinetti.
Adesso Emilio Fede si lamenta, sciala in dichiarazioni, vede complotti ovunque, addita la mano nera di Confalonieri, ventila ingratitudine. Ma non sarebbe più normale prendere atto che anche gli anchor men (lasciamo perdere il tipo, e la qualità), gli speaker, chiamateli come volete,fanno il loro tempo e le aziende hanno bene o male la necessità di rinnovarsi, di rinnovare i loro volti? Piersilvio Berlusconi dirà anche una cosa cruda quando spiega, “Noi stiamo sul mercato, ci quotiamo in Borsa, dobbiamo aggiornarci”, ma questo sistema è stato bene a Fede finché ne ha fatto parte, e comunque se va bene per le squadre di pallone può andar bene anche per le aziende di intrattenimento e informazione.
Ottantuno anni non sono mica un'età acerba per passare la mano e, con tutto il rispetto, Emilio Fede non è Walter Cronkite. Non è neanche Mike Bongiorno, un altro che a 85 suonati accusava tutti di lesa maestà perché non gli facevano fare l'ennesimo quizzettino.
Non si capisce la lamentazione di un Emilio Fede se non col ricatto collegato, finire al Senato, magari a vita, giubilato dal suo Cavaliere-padrone. Certo, con la politica che ci ritroviamo una pretesa del genere non fa neppure più specie (tra l'altro, si riunirebbe la famiglia: la moglie di Fede, Diana de Feo, già siede tra gli scranni di Palazzo Madama). Ma a conti fatti, uno come Fede ha forse avuto più di quanto ha dato, anche se quanto ha dato è, in molti sensi, moltissimo. Fin troppo.

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