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IO COMPRENDO LUCIO MAGRI


IO COMPRENDO LUCIO MAGRI
Lucio Magri, intellettuale e maggiorente comunista dalla vita politica tormentata, è andato a uccidersi in Svizzera, dove c'è una opzione non saprei se più di civiltà o di cinismo, che chiamano suicidio assistito per dire che c'è chi provvede alla tua voglia di farla finita, basta pagare. Non si discute qui l'etica dell'eutanasia e del diritto di decidere su se stessi (che personalmente mi trovano favorevole), quanto del cortocircuito psicologico che può travolgere ciascuno di noi in qualsiasi momento. Magri era malato di noia, di stanchezza, di fine del futuro. Predisposto, sicuramente, come siamo in tanti (e sappiamo riconoscere quei sintomi, e tra noi ci sentiamo solidali oltre ogni steccato mentale), ma condannato al vortice dalla scomparsa della sua compagna, che andandosene gli ha portato via l'unico motivo per alzarsi ancora al mattino. E in questa umanissima resa, il rivoluzionario imbevuto di ideologia lascia il posto ad un uomo solo, come tutti siamo su questa terra. Senza consolazioni. Senza più alibi.
Tutte le ideologie, così come le religioni, sono terribili, perché totalizzanti, e il Comunismo che ha riempito la vita di Magri è stata una delle più atroci. È stato il sogno di qualcosa che, dove si è realizzato, ha assunto i tratti dell'incubo più tragico e senza risveglio. Ha preteso di cancellare i sentimenti, di corrompere le coscienze, di impedire ad un uomo di guardare in alto, nel cielo, e chiedersi il perché di tutte quelle stelle. Ha obbligato gli uomini a sterminare altri uomini, anche tra fratelli, anche tra padri e figli. Ha voluto che al mondo ci fosse solo un Bene supremo, fatto di prigionia, di ossessione, di alienazione, di passi di polizia per le scale, di miseria e di terrore, e l'ha chiamato libertà. Ed ha comandato che di quell'incubo gli uomini si nutrissero. Lucio Magri alla fine non si è ucciso perché quell'incubo non ha trionfato, ma perché la sua parte non ideologica, non politica, non mistica, non salvifica, perché la sua parte più umana ha prevalso. Perché il sentimento ha prevalso, con tutta la sua terribile fragilità, con tutto l'incanto del mistero, della luce spenta della solitudine, del brivido gelido dell'inutilità. Si è disperato qualcuno su internet: “Un rivoluzionario non può morire così”. E chi l'ha detto? Forse un rivoluzionario ha compiuto la sua rivoluzione estrema, quella del sentimento, nella sua ultima e più disperata stagione. Chi reagisce così, invece di sentirsi smarrito, dovrebbe considerare che Magri ha restituito anche a lui un barlume di dubbio, e dove non c'è mai un dubbio non c'è libertà.
Alla fine, gli uomini si illudono come possono, ma io ne ho visti diversi arrendersi, anche sotto i miei occhi, e nella loro fine inevitabile e immedicabile ho visto la mia, e ho conosciuto l'estrema solitudine di chi parte. Estrema e uguale per tutti: chi si lascia andare, lo fa con un sollievo terribile, con una dolcezza straziante: tutto è compiuto. Per questo, io nemico di ogni ideologia, respingo la tentazione di ironizzare sulla sconfitta di una vita (in senso politico), e invece provo un profondo rispetto, una pietà disarmata per un uomo che, dopo avere creduto tanto, non ha creduto più in niente. Non nel domani, non in se stesso. Per ragioni di affetto, non immensamente banali ma banalmente immense come può essere solo un amore privato e vecchio. E non li capisco, proprio non li capisco quelli che parlano di viltà. Non li capisco, perché non hanno capito niente. Allo stesso modo degli atei militanti, che considerano il suicidio di un compagno come un tradimento, anche questi tradiscono l'ottuso gelo di una ortodossia, sia pure di ordine religioso. Sono ugualmente prigionieri, neppure la morte li libera da loro stessi, dal proprio fanatismo. Io provo compassione per un uomo che col suo gesto disperato, anche se terribilmente lucido, mi ha consentito di sentirlo vicino a me, di cancellare tutto ciò che, in vita, ci avrebbe irrimediabilmente divisi.

Commenti

  1. Sulla viltà e di chi, vigliaccamente, ne ha parlato, ha scritto pure Facci. http://www.ilpost.it/filippofacci/2011/11/30/il-suicidio-come-privilegio/
    Incredibile quanta ipocrisia in questo piccolo paese

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  2. E la cosa orribile, è che la ipocrisia è diventata un valore.

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