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IL PARADOSSO DELLE AUTO D'EPOCA

  Ecco qua un bel paradosso servito caldo. Tutto il mondo si preoccupa del mondo, anche il nostro nuovo primo ministro è andato alla Cop 27 in Egitto a dire che bisogna sconfiggere quella cattivona della CO2, a battersi il petto come italiana anche se l'Italia “inquina” per un decimale di anidride carbonica all'interno dell'Europa, che ne produce una tonnellata l'anno a fronte delle dieci e più della Cina, per non parlare dell'India. Difatti Cina e India alla Cop 27 non ci vanno, se ne fregano. L'Italia sì e si allinea a quel programmino conosciuto come Agenda 2030, che, nel sacro nome di Greta, punta, fra le altre cose, ad abolire le emissioni. Il che significa abolire l'automobile, perché quella elettrica sarà pure silenziosa, ecosostenibile, inclusiva, qualsiasi cosa voglia dire, ma non è più auto, è altro, è una centrale elettrica semovente, con molti fattori critici sui quali però nessuno si degna di soffermarsi. Pena di morte per l'automobile: però

PER DARE AMORE

Volevo essere amato Per amare Volevo esistere, solamente esistere Per scatenare temporali di gioia La mia promessa a Dio ma il suo sorriso Sporco di sangue, il mio sangue M'ha dissuaso Inesorabilmente Volevo essere amato Per il fiore che ero, per l'amore Che innamorato sempre mi lasciava Ma piogge acide, stagioni d'amianto Ma notti sorde, zuppe di rimpianto Volevo essere amato e nell'asfalto D'una vita non mia sono caduto (grazie ad ogni santo, grazie tante) Allora scusami, io non ce la faccio Scenderei qui. Basta così, mi straccio Colmo di preghiere disilluse Questo balletto in tre quarti, grottesco Io lo smetto. Io non sono un pretesto Un arabesco. Io volevo amore Per dare amore. A conti fatti io Senza possedere neanche un'ombra Io direi che ho divertito abbastanza In quel farmi compatire sempre Disprezzare ad estro, abbandonare Burattino amorfo in una stanza Volevo fare amore, non ribrezzo Il coraggio s'è rotto, non lo reggo

V.I.P.

L'amica che non sento da una vita mi rintraccia: “Ma come, ti ribecco dopo anni, su un giornale importante, e mi sei diventato un vip?”. Lo dice tra scherzo e rimprovero, affettuoso ma rimprovero. Vip? Sì, per dire conosciuto, perfino famoso. La cosa mi lascia stranito: non è una dimensione congeniale, non per me, ne avverto tutta l'ambiguità e perfino la dimensione patetica. Cosa vuol dire vip? Che c'è più gente che mi scrive? Che qualche lettrice mi manda foto esplicite? Che mi siedo al tavolino per un calice di prosecco e al tavolino di fianco mi individuano, si mettono a parlare, mi raccontano tutta roba che so già, visto che l'ho scritta io? È questo? O un invito a una festa, roba che ormai non significa niente per me? O chissà quali frequentazioni e conoscenze, proprio io che le fuggo come gli appestati, anche perché non mi hanno mai dato un cazzo, o l'odio demente che fa da contrappeso all'esaltazione demente? Cosa è questa nuvola impalpabile che lascia
Col dannato lockdown tutti hanno scoperto che il telelavoro non è così piacevole. È distacco, illusione; è alienazione. Io già lo sapevo, è stata la mia vita per tutta la vita. L'avrò raccontato decine di volte: cominciai battendo i pezzi su una macchinetta per scrivere, regalo della prima comunione: finivo, strappavo il foglio dal rullo, lo chiudevo in una bustina carta da zucchero e inseguivo la corriera che doveva portarlo ad Ascoli: era il “fuori sacco”, che la redazione prendeva e componeva in pagina. Trent'anni dopo, posso spedire direttamente dal notebook, dal telefono, con l'email, con whatsapp, magari domani col pensiero, circondato dai miei animali e da tazzine di caffè. Comodo ma non bello. Perché io sono, rimango uomo di città, ho bisogno di respirare aria intossicata, movimento, confusione. Spostamenti. Incontri. Qui non mi è stato dato, salvo pochissime eccezioni, ricordo una volta, non so più quanti anni fa, una domenica di prima estate (e anche questo l'

MA TU SEI

Ma tu sei, tu sei Contare tutti i numeri Percorrere l'immenso Impazzire in eterno  Tu sei oltre ogni gesto  Ogni danza di cani Ogni canto di piante E preghiera e suicidio  Sei riempire il silenzio Con altro silenzio e assaporare  Una fitta assassina Tu, gioia di stiletto Perfetta in ogni cellula Tu, tutta sbagliata  Senza difetti, crudele E sai d'essere crudele Tu per soffrire meglio Soffrire oltre l'inferno  Pensando tornerai E invece proprio a quest'ora  Nell'ora di mia agonia Ridi in letti distratti Cavi, meschini e affogo Nel mio orrore riposo  Senza forza mi drogo Della tua latitanza  Che tutto rende vano Respirare pregare Restare. Sconfitto restare  Fino a sentirsi intontito  In overdose di domande Non sentire più niente Ma poi riprende, riprende  E suoni di campane Ostinate nel cielo Vulnerato che crolla Per me non voglio oltre  Navigare il mio sangue  Io non la reggo questa nudità oscura Nella gabbia della tigre, inerme Sempre meno forza, meno forza di oppor
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IO CHI SONO?

A volte mi chiedo cosa ci sto a fare a questo mondo. Quale sia il mio dannato posto. E ogni volta la risposta è zero, fatico sempre più a convincermi di avere un diritto a esistere. Sono bravo a intercettare il disagio, mi arrivano le vibrazioni oscure di chi si perde, posso intervenire, medicare. Rimediare, spesso. Non so curare me stesso. Mi riduco un viale di periferia illuminato di lampioni stinti, pieno di rifiuti, di strane cose oscene e, sullo sfondo, i baracconi spenti di un luna-park. Passano fari lasciando scie di morte; il gelo dentro. Mi ripeto allora che quelli come me debbono trasportarsi il destino: essere diverso, e lo so da quando avevo tre anni, è una benedizione da scontare, non ci sono riferimenti per chi ascolta i fili d'erba crescere, si perde nel vortice di una canzone per l'eternità, nel vortice delle parole, dell'amore che non guarisce e ama come nessuno può amare. Perchè capisce quel che nessuno capisce. Ma mi ritrovo ad ascoltare il suono dei miei