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Visualizzazione dei post da gennaio, 2020

IL PICCOLO REGNO DEI GIOCATTOLI

Se devo essere sincero, mi ha fatto sempre un po' paura. Capivo che c'era qualcosa che non andava in quel piccolo regno dei giocattoli dove pure, ogni volta che potevo, mi facevo portare e, più grandicello, indugiavo rapito davanti alla vetrina: c'era sempre qualcosa di nuovo e avrei voluto rubare tutto, stordito dai profumi aspri che uscivano dall'erboristeria a fianco. Ancora oggi quando passo davanti a un'erboristeria si risveglia un frammento dell'anima, risento il sapore di non so che, forse dell'infanzia, e non posso fare a meno di pensare al negozio di giocattoli “Cenerentola” e alla sua padrona. Me la ricordo poco, una donna molto grande, vagamente sinistra, con qualcosa di incontrollabile e di imprevedibile, non so come minaccioso, forse volgare. Con uno sguardo fondo, una luce velata negli occhi. Viveva nei giocattoli che i bambini con occhi sognanti le portavano via, e aspettava invano di avere un figlio suo. Una malattia ci aveva fatto, e a

MARCELLINO

Stasera torno qui. Fa caldo, è da una vita che non ci vengo più. E scorrendo la Strada Nuova, la Piazza, il Corso arriviamo nel budello scosceso con l'odore di muffa che sale dalle segrete dei palazzi vetusti e in fondo al budello la grande casa sorta sulle rovine di un convento, dove il mio sangue cresceva, il sangue che un giorno mi avrebbe generato. Talmente enorme, con le sue cinque stanze da dormire, due bagni, il salone, il salottino e la cucina, che ci tenevano studenti a pensione. E gli studenti a volte sposavano, diventando parenti. E la casa non c'è più. C'è un rudere tetro, persiane sdentate, portone scrostato, “citofono non funzionante”. Ma cosa è successo? Vorrei entrare, vedere ancora una volta quel corridoio che a cinque anni avevo completamente scrostato a forza di pallonate sul muro, ma è sbarrato con la forza dell'oblio. Tutta una rovina, come nella canzone di Lucio Battisti. Io qui ci ho passato quindici estati, fino all'adolescenza; qui

AMERO'

Amerò sempre quelli che non si vergognano di amare. Che sanno dimenticare e ricordare. Che non spariscono e, se lo fanno, prima o dopo tornano. Quelli che non inventano trucchi per andare via, e non si vantano di essere aridi. Amerò quelli che non si difendono e ci sono anche quando mancano. Non quelli che mancano anche quando ci sono. Non i fantasmi. Non chi mi ha usato e poi ha cercato un pretesto. Non chi m'ha ingannato e non cancella il sorriso. Amerò chi si specchia nel gatto randagio e non lo lascia a chiedere invano, anche se gli costa il sonno. Chi si arrende a un'anima patetica, però almeno non si nega un miracolo, non importa quanto piccolo, non importa quanto inutile. Amerò chi vede l'immenso nell'irrilevante, chi prova imbarazzo e sbaglia nel vestirsi, chi sa capire che le sue ferite sono anche le mie e non archivia mai la tenerezza. Chi mi telefona a tradimento regalandomi un affettuoso insulto e la voglia di rivedermi. Chi saprà medicarmi con una bugi

I DUE SALAMI

I DUE SALAMI

RULA LULA A SANREMO

RULA LULA A SANREMO

A CAPODANNO LA STRAGE DI ANIMALI

A CAPODANNO LA STRAGE DI ANIMALI

FANNULLONI DI STATO, UNITEVI

FANNULLONI DI STATO, UNITEVI

IL SALE DELLA TERRA

La gente povera è mite, non spacca le vetrine, non si sogna neppure, ma paga per chi lo fa. La gente vera non bara, non pretende o millanta: s’accontenta ed è tutto, altro ruolo non ha. Non è qui per volare, deve stare schiacciata, il sale della terra lo sai non sale mai. Non gioielli ma strass, eppure è (un po’) regina, lasciatela sognare per una sera sola. Comincia la mattina, si fa il mazzo una vita e quando arriva in fondo, che ha fatto non lo sa. Si spende i suoi Natali sognando altri Natali, feste calde e imbiancate che non vengono mai. Si consola con poco, due stille di calore, una cena in famiglia, regali da non dire. La povera gente si sente padrona guardando un prato, poi smette di sperare, non pretende di più. Le basta un giorno solo, un giorno da leone, capita sempre agli altri, non è roba per lei. Se fa qualche cazzata, la pagherà una vita, non ha un’altra occasione, non ce l’ha avuta mai. La povera gente non sa, non conosce, non conta, è di destra e sinistra, in fon

TUTTO QUEL CHE SI VUOLE

TUTTO QUEL CHE SI VUOLE

CANE

Senza ieri e senza domani Senza paragoni e senza ragione Io ti amo come un cane Senza condizioni e senza scampo Senza sapere chi sei davvero Senza curarmene e senza tempo Perché sei così, perché tutti i tuoi difetti I tuoi guai sono miei e ti fanno così Fanno quello che sei E li cerco quando non ci sei Quando mi sento più cane del solito Stare lì con gli occhi ad aspettare Quello che non arriva, ma aspettare Con un canto di lamento azzurro Sapendo che è sbagliato, con le orecchie Tese, lo sguardo ucciso Ma aspettare Per urlare, bestemmiare alla luna Digrignare mordere ringhiare Fare i denti a chi non c'entra niente Starci male E aspettare Aspettare, mai imparare, aspettare Senza frenare la coda al nuovo inganno Le patetiche zanne, gli occhi vani Mani o zampe, siamo tutti cani Nel dolore cattivi, bisognosi D'una bugia d'affetto, di un dolcetto Che fa male e poi non impariamo Ci sperdiamo in mezzo a certa gente