Quando facevo il liceo
avevo un gran naso e il pessimo gusto nel vestire tipico dei
semplici, dei poveri di famiglia modesta: e i compagni, difatti,
infierivano nei modi più fantasiosi, nasone, Battiato, Pippo Franco,
le caricature in cui mi impiccavano per il naso e poi terrone,
barbone, avevo scovato una vecchia atroce giacca di pelle smessa da
mio padre e subito mi guadagnai il titolo di controllore dell'ATM.
C'era tutto il campionario di disprezzo e razzismo democratico,
perché quei compagni eran tutti di ottime famiglie – loro –
civili e progressiste che, agli incontri coi genitori, facevano
sfoggio di citazioni di Gaber e di De André. Poi la vita mi traslocò
coi miei qui, nelle Marche, dove vivo da 35 anni e la solfa
ricominciò alla rovescia: che cazzo vuoi, milanese di merda, ti
spacchiamo le ossa, che c'hai da dire, faccia da nordista, tornatene
a Milano, qui comandiamo noi. Io non mi sognavo proprio di comandare,
ero un ragazzo nasuto e fragile che aveva solo tant…