A volte mi chiedo cosa ci sto a fare a questo mondo. Quale sia il mio dannato posto. E ogni volta la risposta è zero, fatico sempre più a convincermi di avere un diritto a esistere. Sono bravo a intercettare il disagio, mi arrivano le vibrazioni oscure di chi si perde, posso intervenire, medicare. Rimediare, spesso. Non so curare me stesso. Mi riduco un viale di periferia illuminato di lampioni stinti, pieno di rifiuti, di strane cose oscene e, sullo sfondo, i baracconi spenti di un luna-park. Passano fari lasciando scie di morte; il gelo dentro. Mi ripeto allora che quelli come me debbono trasportarsi il destino: essere diverso, e lo so da quando avevo tre anni, è una benedizione da scontare, non ci sono riferimenti per chi ascolta i fili d'erba crescere, si perde nel vortice di una canzone per l'eternità, nel vortice delle parole, dell'amore che non guarisce e ama come nessuno può amare. Perchè capisce quel che nessuno capisce. Ma mi ritrovo ad ascoltare il suono dei miei passi. A sentirmi un taxi, mi prendono, salgono, mi usano fino a lì, scendono. Sono stanco e ho paura. A volte mi chiedo cosa ci sto a fare in questo mondo, ed ogni risposta diventa più spaventosa. Sì, io so come si sente chi non si conosce. Chi non si sa. Chi si cerca disperato, ma sbaglia ogni strada. Io so cosa dire a chi è diverso, come me, so come trasformare le sue sconfitte in armi. Non mento: noi siamo eterni incompresi a noi stessi, ci mortifichiamo di non essere come tutti; di non essere uguali. Ci infliggiamo ogni colpa, uscendo perdenti da confronti assurdi. Sì, noi siamo unici. Siamo fatti di brividi che nessuno capisce e per questa droga lo sappiamo che bisogna pagare. Paghiamo tutto così caro. Il silenzio che non sempre avvicina al trascendente, a volte è solo un imbuto di dolore. Sì, che lo so cosa vuol dire non trovare nessuno nello specchio eppure dover esserci per chi mi cerca. Io ci sarò ancora e ancora, ma cosa sono io? Un errore? Un incidente? Un alieno, o un orrore? Io, che ho camminato tutta la vita da solo e ho costruito un mondo che non c'è. Che vivo di rivincite destinate a svanire. Che di queste parole mi alimento e mi avveleno. Io, che vorrei dirti ciò che non posso, vorrei chiederti “io chi sono?” ma tu non me lo dirai.
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