Se devo essere sincero,
mi ha fatto sempre un po' paura. Capivo che c'era qualcosa che non
andava in quel piccolo regno dei giocattoli dove pure, ogni volta che
potevo, mi facevo portare e, più grandicello, indugiavo rapito
davanti alla vetrina: c'era sempre qualcosa di nuovo e avrei voluto
rubare tutto, stordito dai profumi aspri che uscivano
dall'erboristeria a fianco. Ancora oggi quando passo davanti a
un'erboristeria si risveglia un frammento dell'anima, risento il
sapore di non so che, forse dell'infanzia, e non posso fare a meno di
pensare al negozio di giocattoli “Cenerentola” e alla sua
padrona. Me la ricordo poco, una donna molto grande, vagamente
sinistra, con qualcosa di incontrollabile e di imprevedibile, non so
come minaccioso, forse volgare. Con uno sguardo fondo, una luce
velata negli occhi. Viveva nei giocattoli che i bambini con occhi
sognanti le portavano via, e aspettava invano di avere un figlio suo.
Una malattia ci aveva fatto, e alla fine aveva cominciato a bere. Io
la vedevo sulla porta, sempre più allegra, sconvolta, alticcia e
alla fine drammaticamente sbronza e metteva spavento
quell'autodistruzione nel regno dei giocattoli, quel suo sprofondarci
dentro, quel diventare ogni giorno di più una di loro.
Aveva un marito piccolo,
calvo, fragile e scialbo, che, adesso me ne rendo conto, non si
vedeva mai perché preferiva fuggire da quell'inferno fatato. Non
poteva fare della signora Cenerentola una madre né una sposa felice.
E allora correva dappertutto a raccogliere giocattoli. Un giorno che
era andato a ritirare un carico a Genova, si sentì male lungo la
strada: fece giusto in tempo ad accostare sul ciglio e morì così,
fulminato da un infarto nel traffico indifferente, dentro la sua
macchina colma di pupazzi, di piste e di trenini.
La signora Cenerentola,
come la chiamavo io, impazzì del tutto. Ci andavo con mio padre e
lei, con l'alito che puzzava di liquore: “Tu quando sei nato?”.
“Nel 1937”. “Anche io! Classe di ferro! E tua moglie invece? “.
“Più o meno lo stesso”. E lo sguardo della signora Cenerentola
diventava fondo e nero come un lago quando arriva il temporale.
Cominciò la via crucis all'ospedale, e il negozio restava chiuso
sempre più a lungo e quando usciva era ogni volta un po' più matta
e più bevuta. Finché un giorno sulla saracinesca qualcuno mise un
cartello: “Chiuso per lutto”. Ed era così assurda, la morte
sopra un reame dei giocattoli. O forse era solo l'ennesima metafora
della vita.
Cenerentola rimase chiusa
per sempre. I suoi ospiti morirono anche loro, uno dopo l'altro
dietro la vetrina sempre più opaca. Nessuno volle più aprire il
regno dei giocattoli, perché dicevano che portava male.
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