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CHI VI HA DATO LA PATENTE



In tempi esasperati è fisiologico registrare opinioni differenti su temi di spessore umanitario e così accade che, specie in estate, le città s'arricchiscano di rassegne letterarie, più esattamente commerciali del settore librario, partecipate da gendarmi della coscienza che danno e tolgono, ad esclusivo arbitrio, patenti di umanità. A Fermo s'è avuta la visita del maturo intellettuale Erri de Luca, per alcuni degno del Nobel per letteratura, secondo altri “un Lialo della rivoluzione”, del quale si son letti commenti esaltati da partecipanti sdilinquiti, abbeverati all'Erri pensiero. Padronissimi, si capisce: a patto che, di quel pensiero, si colga il pacchetto completo, senza sorvolare, come fanno i “restiamo umani”, in servizio effettivo permanente, ancorché a senso unico, su alcune articolazioni. I restiamo umani potrebbero per esempio ricordare che questo loro paladino dell'umanità e della carità sociale non ha mai speso una parola per le vittime del terrorismo, per la semplice ragione che lui non lo considerava tale; ha sempre ironizzato sugli anni di piombo, “saranno stati di piombo per gli idraulici, perché non c'era ancora il pvc”; ha considerato sbagliato, fors'anche patetico, il cordoglio per i caduti in quel frangente, perché, come ha ripetuto ad nauseam, “si trattava di una guerra”, sferrata naturalmente dallo Stato reazionario e fascista, laddove in guerra i caduti in divisa, come quelli della strage di via Fani, sono soldati che non si piangono e non si rimpiangono. Difatti si fa ritrarre teneramente avvinto all'amica brigatista Barbara Balzerani. Che poi quella guerra, assunta in proprio dai terroristi, sia costata oltre 500 morti e quasi 3000 feriti, in larga parte estranei anche alla discutibile logica di De Luca, condannati a calvari senza fine, è dettaglio che non rileva come non rileva il mostruoso tributo di sofferenza, di lutto, di ritardo sociale registrato dal Paese. Tutto per niente, questo De Luca, virilmente, lo riconosce: “Non conveniva fare lotta armata perché la si è persa”.
De Luca d'altra parte si è speso molto per la liberazione di gente nell'alone o nell'agone del terrorismo, come Cesare Battisti, uno del quale perfino i simpatizzanti più accaniti e di lunga data, come Saviano, hanno rinunciato a perorare la causa, forse sopraffatti da un rigurgito di decenza. Egli si scaglia contro la violenza di Stato, ma della violenza ha un concetto soreliano e marxiano, la vede fisiologica, necessaria, levatrice della Storia; a proposito delle escandescenze notav, appoggiate con toni che non piacquero a qualche magistrato (a qualche giudice, che lo assolse, sì) disse che “quando tutte le ragioni vengono respinte e ignorate è inevitabile che si finisca con il ricorrere alla violenza”. Convinto di vivere in un regime concentrazionario, pieno di “prigionieri politici” da liberare, De Luca, non è di quelli che si siano assunti la responsabilità di atti sanguinosi: lui era, è un rivoluzionario di parola, che in gioventù guidava il servizio (armato) di Lotta Continua, e lo guidava con metodi che molte femministe di allora non hanno mai smesso di rimproverargli. Scoperto dall'estabilishment lettarario, ha regalato una produzione fluviale, sempre sorretta da immarcescibili certezze: “La violenza è stata lo strumento politico di un secolo di rivoluzioni. Dal punto di vista del 900 è stata una forza promotrice del miglioramento di miriadi di masse umane”. Questo, grossomodo, il pacchetto completo di cui i “restiamo umani” dovrebbero assumersi il patrocinio. Facile, perché il regime come lo vede De Luca (e, forse, sotto sotto anche i suoi tifosi) permette, provvidenzialmente, la libera circolazione delle idee, e perfino delle eresie, affidate ai tour moralistico-promozionali. In attesa di una nuova democrazia, più progressiva, ai dissidenti speriamo sia ancora permesso di obiettare che patenti di umanità a punti da certi signori, ecco, magari anche no.
Massimo Del Papa
(Il Resto del Carlino, domenica 24 giugno 2018)

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