Fra tanti libri inutili,
uno che ci voleva. "Viaggio tra le note" di Dario Giardi
per il piccolo editore "I libri di Emil", colma un vuoto,
quello tra l'uggia della teoria e la spocchia della pratica, il
fossato fra chi si specchia nel proprio sapere e la presunzione di
chi ritiene di non averne alcun bisogno. Quante volte abbiamo provato
ad approfondire "i segreti della teoria dell'armonia musicale",
come recita il sottotitolo? Tante o poche che siano, ci siamo sempre
scornati contro l'astrusità del cogliere un ritmo, un modo, un
mistero sonoro senza poterlo verificare all'ascolto: roba da
conservatorio, da studi approfonditi e impegnati, e poi la musica non
è il regno dell'improvvisazione, il campo in cui Dioniso può
sfogare le sue scorribande ridendo in faccia a Apollo? Questo è
quanto credono gli aspiranti, perché ritenersi genii è più comodo
che studiare, col risultato di impoverire la musica; solo che le cose
non stanno proprio così, Dioniso può scatenarsi solo quando ha
conosciuto Apollo. La teoria, nell'insegnamento classico, arriva
prima e sorregge la pratica; in quello popolare è il contrario, si
suona e intanto si mettono insieme le relative competenze, in modo
spontaneo e confusionario (lo si ripete anche nella prefazione). La
verità, è che prima o poi va sistematizzato quanto si è scoperto
accidentalmente, cioè la teoria a un certo punto diventa
indispensabile. Altrimenti si finisce a rifriggere sempre quel tanto
o poco che si è imparato. La musica popolare è tradizione spontanea
da alimentare suonando, d'accordo, ma sapere cosa si sta suonando, e
da dove viene, senza la saccenza didattica dei nostri cantautori
politici anni '70, ma anche senza l'incoscienza dei presunti naivée,
non pregiudica in alcun modo la spontaneità. Anzi.
Il guaio è che la teoria
musicale è per sua natura noiosa (la riprova è che a tentare
d'assorbirla via internet si diventa matti e non si capisce un
accidente); non in questo libro, che dentro uno schema rigoroso e
ordinato - l'autore è diplomato al Berkelee College of Music di
Boston - espone la teoria con approccio confidenziale e, vorrei dire,
affettuoso, insomma tiene presente che un libro così non lo
legge chi sa già tutto, ma chi non sa. Il risultato è un lavoro che
scorre con piacere, e che si rivela, non esito a spendere la
parola, indispensabile: per chi suona, si capisce, ma anzitutto,
soprattutto, per chi critica. Perché la critica attuale, in genere
giudica poco: contestualizza, storicizza, raffronta avendo ascoltato
parecchio e quindi traccia un giudizio che è praticamente
sovrapposto al gusto personale. Ma è valutare un'opera, questo? Così come della
critica tecnica si può fare a meno solo una volta assimilata (ma in
quel caso non sarà un prescinderne, sarà un utilizzare altri
criteri che però contengono quelli precedenti, essendone la
risultante e insieme il superamento), così dalla composizione
teorica si può prescindere, in virtù dell'improvvisazione, solo
dopo averla imparata a fondo. Picasso non nasce cubista e non inventa
dal niente il suo tocco (nel libro sono imperdibili le poche righe
sull'impressionismo sonoro di Debussy).
Il volume non tralascia
un gioiello di storia essenziale ma completa della parabola sonica
dall'uomo primitivo al futuro che incombe; laddove si conclude con
una imperdibile sezione sugli effetti emotivi e psicologici legati a
determinate, celeberrime partiture, siano operistiche oppure figlie
del blues e del rock. Sono i valori aggiunti di un lavoro dove ogni
pagina è importante e ogni cognizione viene spiegata in modo
accattivante e perfettamente comprensibile. Ecco perché "Viaggio
tra le note" è caldamente consigliato: a tutti, ma a qualcuno
di più.
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