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MENO DI NIENTE


Quando, precisamente sei anni fa, Barack Obama si insediò per la prima volta alla Casa Bianca, il mondo venne scosso da un fremito politicamente corretto. In Italia, come sempre esagerata, il fremito divenne un tornado: si giurava sulle proprietà taumaturgiche del nuovo presidente, si diceva che solo lui poteva salvare il mondo, e l'avrebbe salvato, assessori di paese si facevano fotografare mentre telefonavano sotto il suo ritratto, politici nazionali scimmiottavano i suoi slogan, ci fu chi, incautamente, lo definì abbronzato, sollevando uno tsunami di indignazione tale da fare impallidire un ayatollah incazzato (in effetti, si seppe poco dopo, quello sciagurato aveva, come spesso gli accade, rubacchiato la battuta a un giornalista impeccabilmente dalla parte giusta; ma si fece finta di niente pur di continuare a lapidarlo). Nei giornali era una bagarre furibonda a chi sfoderava più superlativi, i commentatori si sfidavano a duelli rusticani su chi era più baracchino, le agiografie si sprecavano, i mancamenti fioccavano, che il giovane e radioso neopresidente andasse a comprare un hamburger, a Disneyland o a giocare a basket. Si ebbero deliri di adorazione degni di una rockstar, di un divo di Hollywood, di un premio Nobel, subito puntualmente piovuto, Saviano, il cranio verde di bile, meditò il suicidio, tutti gli altri 220 leader mondiali, umiliati nell'adorazione planetaria, furono tentati di spedire le rispettive nazioni nei campi di rieducazione, tipo quelli nordcoreani successivamente lodati da politici nostrani di vaglia quali Razzi e Salvini, gli stessi capi religiosi furono uditi sommessamente bestemmiare, ciascuno nel suo idioma e contro il rispettivo editore di riferimento. Niente paura, diceva il mondo, e soprattutto l'Italia: per ogni evenienza, ci pensa Obama, l'uomo più famoso di Gesù: e anche più santo. Se qualcuno steccava malamente nel coro, per esempio intervistando qualche rarissimo critico, partivano subito le campagne sui forum, le raccolte di firme, perfino le spedizioni in redazione per chiederne la radiazione, ma che diciamo, la esecuzione direttamente sul posto. Su Obama non si poteva, per un complesso di ragioni, una più politicamente impeccabile dell'altra. Sono passati per l'appunto sei anni, Obama è stato rieletto ma più che altro per mancanza di contendenti plausibili, il mondo ne è stato deluso, l'America stessa non lo ama a dispetto della ripresa economica, fattasi negli ultimi tempi folgorante; gli si imputano troppe indecisioni in politica estera, ne si teme, a torto o a ragione, l'eccesso di statalismo (secondo il metro di giudizio americano), è continuamente sospettato di comunismo (come sopra), si diffida del suo atteggiamento ambiguo verso gli gnomi della finanza, ai quali aveva promesso di tagliare le unghie che invece hanno continuato a crescere più di prima a dispetto di nuovi colossali disastri, provvidenzialmente spalmati sul resto del mondo. Siamo all'oggi, anzi a ieri. Alla marcia dei 50 potenti (più o meno) uniti contro lo stragismo islamico radicale, Obama non si è scomodato. Il suo messaggio è stato brutalmente chiaro: non interessa all'America, non interessa a lui personalmente, al punto da non curarsi affatto di una simile caduta diplomatica. Anzi, meglio se il mondo ha appreso senza margine di dubbio l'atteggiamento del presidente degli Stati Uniti nei confronti della strage più grande che la Francia ricordi, all'interno di una Europa scioccata e spaventata. Per l'uomo della provvidenza di sei anni fa, il sangue europeo conta niente, la morte di una quindicina di fumettari è una vignetta. Non vale una gitarella sull'Air Force One, non vale la pena di una visita di cortesia. Non vale niente. Sono più importanti le relazioni col mondo islamico, moderato o meno che sia. O forse, era semplicemente più urgente il week end. Magari Michelle non aveva voglia. Magari non l'ha lasciato andare. Magari non l'hanno avvertito. L'Europa per Obama è una espressione geografica utile a ricevere i contraccolpi degli scossoni partiti dall'America o da qualsiasi altra parte del mondo. Figuriamoci poi se la strage fosse avvenuta in Italia, il Paese più follemente entusiasta, più servilmente fanatico del Presidente appena sei anni fa. Meno grave di una partita persa alla consolle, di una gita a Disneyland rovinata dal maltempo, di una slogatura rimediata sul campo da golf. In questa piccola provincia dell'Impero, del resto, Obama c'era già stato alcuni mesi fa, constatando con vivace stupore che un vecchio rudere chiamato Colosseo era “più grande di uno stadio di baseball”. Anche allora, i politici italiani non mancarono di rimarcare la profonda sensibilità culturale dell'uomo più potente del mondo, ma soprattutto buono. 

Commenti

  1. Ora che mi ci fai pensare, mancava soprattutto lui. Avrà reputato che fosse più "politically correct" starsene a casa per non far incacchiare gli integralisti che passeggiano bellamente a Rockfeller Center, tanto poi, diciamolo pure, noi siamo pecoroni e se ci sarà bisogno di esaltarlo a fine mandato, lo faremo ancora.. E anche prima!
    Cangaceiro

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  2. se è per questo ne mancava di gente! era ridicolo vedere il vuoto dietro di loro

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