MA
TANGENTOPOLI CI FU (E C'E')
L'intervista
postuma dell'ex ambasciatore in Italia Bartholomew all'inviato della
Stampa Maurizio Molinari arriva come l'ennesima sassata su un'estate
satura di veleni, politici e giornalistici: e subito chi ha voce in
capitolo comincia a scannarsi, il Fatto che con automatico cipiglio
si fionda in soccorso degli amici giudici, Ferrara e i berluscones
che reagiscono altrettanto pavlovianamente, “Noi l'avevamo detto”.
Perché l'ex ambasciatore prima di tirar le cuoia ha confermato qualcosa
che molti sospettavano: Mani Pulite fu un complotto, il solito
imbroglio di cui l'intero dopoguerra repubblicano è stato gravido,
con settori deviati nell'Italia a sovranità limitata così come
nell'America a sovranità limitante. Dall'assetto democratico
postfascista alle stragi di stato, dall'insorgenza del sovversivismo
rosso e dell'eversione nera, alla P2, alla trafila dei governi
nazionali, non c'è evento in cui gli Stati Uniti non restino di
sfondo, con la loro ombra gigantesca e pesante. Figuramoci se poteva
restarne fuori quel curioso golpe morbido che si identificò in
Tangentopoli. Ora, in un paese di confine e di riserva come il
nostro, tutto è possibile: tutto e il suo contrario, e niente è
abbastanza pazzo da risultare incredibile. Senonché. Senonché,
qualcosa non torna. Perché è possibilissimo che quei magistrati
fossero, almeno in parte, almeno qualcuno di loro, eterodiretti (le
carriere di troppi, susseguenti alla loro fuoruscita dalla
magistratura, autorizzano più di qualche sospetto). La prima
repubblica cadde sotto i colpi di una magistratura fattasi
sorprendentemente intraprendente, per una serie di concause: dal
crollo del Muro, all'insorgenza della Lega Nord, al ribaltamento del
ruolo della stessa classe giudiziaria, che, proveniente dal fascismo,
era stata trapiantata tale e quale nella transizione democratica, a
patto che non disturbasse mai il manovratore. Poi, con lo spirare di
quella generazione di giudici, si fecero sotto elementi più giovani,
dall'orientamento politico differente, figli di quella contestazione
che non poteva non contagiare anche loro: la magistratura, da cane da
guardia governativo, si trasformò in cane pronto ad azzannare il
potere; dovette attendere, ma quando la congiuntura internazionale lo
permise, si scatenò.
Detto
questo, va pur ricordato che i reati su cui indagavano, c'erano.
Quella prima repubblica, prima ancora che sotto i colpi di maglio di
Mani Pulite (e di tutta una serie di emuli spesso maldestri, a volte
incapaci, non di rado in malafede e di mal dissimulate smanie da
protagonismo), cascò anzitutto sotto il peso delle proprie ruberie.
Mani Pulite ricostruì una Tangentopoli che c'era, non l'avevano
inventata i giudici. La corruzione sistemica, man mano che emergeva,
veniva riconosciuta dagli interessati con accenni perfino deliranti:
a un certo punto, davanti alla porta dei vari Di Pietro, Colombo,
Davigo, c'era la fila di gente che non aspettava altro che di poter
confessare. Le “dazioni ambientali” furono ampiamente
ricostruite. Gli scandali erano sotto gli occhi di tutti, al punto
che molti si domandarono come mai la magistratura si fosse svegliata
“solo allora”. L'allegra pratica di rubare su tutto, ma proprio
su tutto, venne perfino rivendicata con orgoglio. Craxi, nel celebre
discorso in Parlamento del “così fan tutti”, dichiarò, appunto,
che la corruzione era una pratica talmente diffusa, generalizzata e
condivisa, da non suscitare più alcun rimorso; che era sfuggita di
mano a tutti, e che alla fine non restava che mettersi d'accordo,
pensate un po', nelle proporzioni con cui rubare. E moltissimi figuri
se la cavarono solo per il gioco delle prescrizioni, oppure
patteggiando. Ci furono, si capisce, errori, forzature, disinvolture, come Bartholomew rimarcò a Molinari, che
indispettirono gli Stati Uniti ai più alti livelli (e già questa arroganza sarebbe curiosa, se non ci fossimo abituati a
considerarla tragicamente normale). Probabilmente ci fu anche, col
senno del poi, una elasticizzazione dell'obbligo dell'azione penale,
che è davvero la Madre di tutte le fandonie giudiziarie, e si può
aggirare, come infatti si aggira, in fantasiosi e plurimi modi. E di sicuro l'America seguì da vicino (quanto vicino) quello che succedeva in Italia. Resta che però quei reati, quei crimini, quella disonestà comune, quelle
razzie senza ritegno, quelle corruzioni endemiche, c'erano:
indebolirono il paese allo stremo, e non avevano proprio niente a che
fare con “i costi della democrazia”. Furono, anzi, il costo di un
regime che prosperò sull'inganno e sulla rapina. I costi, li stiamo
pagando ancora oggi.
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