Esco a fare quattro passi |
L'ORMA SULLA
LUNA
Sono
passati i Natali d'oro dove tutto si comprava a rate, senza pensarci,
il consumismo come un dovere sociale che diventa istinto pavloviano,
indotto da pubblicità subdolamente garbate. Questi di fine decenni
sono autunni caldi e inverni di nebbia, stagioni incazzate di bande
criminali come la Cavallero che imperversano mitra in pugno, anni
compressi, fiumi di genti che tracimano dalle province sui treni
nelle fabbriche, nelle scuole, le università, dallo stadio di san
Siro, derby epici, Rivera e Mazzola e poi, finito tutto, l'immensa
tristezza metropolitana che s'inscatola nei tram, torna nell'alveare
delle case popolari, si prepara a un'altra settimana di calvario
mentre sogna di fuggire non sa dove, forse sulla luna. 20 luglio
1969: il razzo sparato da Houston, Texas, conclude il suo cammino
approdando nel Mare della Tranquillità e ne escono palombari celesti
che passeggiano con movimenti impediti, da robot. Uno, Neil
Armstrong, trasmette una frase che rimarrà eternamente sospesa nello
spazio: “Questo è un piccolo passo per l'uomo ma un grande balzo
per l'umanità”. Sembra un prodigio, e lo è: la rottura definitiva
tra un'epoca e la successiva, tra un mondo che la luna la sognava e
un altro che può uscire sul balcone mormorando con un brivido:
“Accidenti però, sono proprio là”, e poi tornare dentro e
vederseli in diretta via satellite. La potenza della suggestione è
immensa, tutto si annuncia diverso d'ora in poi, ma mentre la luna
resta là, inaccessibile, sullo schermo scorrono ectoplasmi del
solito pianerottolo italiano, Tito Stagno e Ruggero Orlando che
riescono a litigarsi pure quella. L'uomo del 1969 si stacca dalla
luna sul balcone e torna a disilludersi davanti alla frontiera di
Lambrate, del Giambellino, di un vicolo napoletano, di una borgata
romana.
Inquietava,
quella passeggiata: cominciarono ad insinuare che fosse tutto un
trucco, all'infinito tendiamo per natura, ma la sua possibilità ci
spaventa, ci disperde. Invece era tutto vero e, allo stesso tempo,
finto. A
cosa servì quel passo troppo lungo, al colmo di una sfida muscolare
tra America e Russia in piena guerra fredda? Quanti soldi sono stati
bruciati per quel traguardo irraggiungibile? Quando Armstrong lasciò
l'orma del suo scarpone sul “luniccio” (terriccio non si potrebbe
dire), parve a tutti che Selene fosse ormai nella nostra mano. Si
favoleggiava di vacanze fra i crateri lunari, di viaggi andata e
ritorno, qualcuno già pensava di farsi la villetta interplanetaria.
Ma eravamo lunatici e ingenui, quello sputato dal razzo della
missione Apollo 11 era fumo immenso, spaventevole, fumo pesante che
tutto copriva, fumo negli occhi del mondo. Che, 43 anni dopo, avvolto
in un'altra nube, chiamata internet, resta alla stessa precisa
identica distanza da quella impronta. L'argonauta Neil se ne va,
ottantaduenne: il suo cuore ha retto all'allunaggio, a spaventose
disavventure davvero fuori dal mondo, ma non ai 4 bypass dopo
un'operazione. E la luna è sempre là, e ci guarda beffarda, e noi,
lunatici più che mai, non ci siamo mai finiti, non l'abbiamo
conquistata, adesso guardiamo a Marte, ma è sempre la solita storia.
Il nostro spazio vitale si restringe, nel 1969 eravamo un paio di
miliardi, adesso 4 volte tanti ma sul pianeta che influenza le maree
e, così pare, l'umore di molti quaggiù, non ci trasferiremo mai. A
cosa servì quella passeggiata se non ad illuderci crudelmente, a
farci sognare, a farci illudere di poter lasciare quel pulviscolo
d'universo dove un'arcana casualità ci incastonò per sempre?
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