Che ricordi lancinanti
accendono i primi alberi di Natale nelle vetrine. Per mio padre era
un rituale barocco, lui l'albero lo copriva a strati e alla fine ogni
ramo stramazzava, carico di strani frutti di plastica di mille
colori. Ci voleva una giornata e non bastava, ogni Natale lui perdeva
due o tre chili. Una battaglia che cominciava con lo scartamento
dell'alberone, puro sintetico, e quindi la distensione di tutti i
rami e ramettini; di seguito le luci, per le quali partivano subito
raffiche di bestemmie furibonde perché bisognava sbrogliarle da
grovigli maledetti; quindi le palle, che regolarmente cascavano in
terra disperdendosi sotto i mobili ("Marisaaaa non rompere i
coglioniiii!"). Mio padre per la preparazione domestica del
santo Natale diventava un mr Hide con gli occhi iniettati di sangue
pronto a far fuori chiunque gli si parasse davanti. Ma ecco la
vestizione! Con ampi, ieratici gesti, in ciabatte, circondava
l'albero di orrendi nastri luccicanti d'argento e perfino di rosso,
fino a legarlo come un ostaggio; previa prova elettrica, venivano
distese le luci atroci: fiaccole, globi, ghiaccioli, molti dei quali
cedevano dopo i primi bagliori (nuove preoccupanti imprecazioni); a
volte saltava l'intera treccia e così mio padre rotolava fuori alla
disperata conquista del sostituto. "Alberto mi raccomando non
esagerare". Ma lui era già per le scale e tornava quasi
strangolato da altre otto o dieci trame di luminarie, regolarmente
lugubri: "Che spettacolo!, queste sì che sono belle!", si
rallegrava come un bambino. Mia madre scuoteva la testa rassegnata.
Per armonizzare quell'ammasso mostruoso, lui esagerava in un
inquietante Lego di intermittenze, pareva una centrale della NASA (la
bolletta seguente: "Marisa ma come cazzo abbiamo fatto a
spendere così tanto di luce?". "Sarai stato tu con quelle
maledette intermittenze", e lo diceva in un modo talmente
carogna, a metà tra la denuncia e il compatimento, che lui
regolarmente si infuriava: "Ma cosa mi rompi i coglioni, non sono manco libero di fare l'albero di Natale, neanche andassi a troie!"). Già alla posa delle luci l'albero
annaspava; mio padre era spietato e procedeva con quintali di
piccoli orrendi monili sulla punta dei rami, la polverina
brillantante che restava sulle dita, ma tossica, e poi uccelletti,
babbetti natale, befanelle, bambole, trottole, scopette, minuscoli pacchetti regalo, un
campionario del kitsch più sublime, roba che Liberace ci sarebbe
diventato pazzo. Completava l'effetto una cima fallica - ma lui non
ha mai voluto ammetterlo, e ci dava dei pervertiti - che si inclinava
impietosamente da una parte. "Alberto, sembra un cazzo moscio",
diceva mia madre. Allora lui pigliava la seggiola e tentava di
raddrizzarla a forza di bestemmie. Niente. La puntellava con pezzi di
spago, schegge di plastica, tutto quello che gli riusciva di trovare.
Provò anche il Bostik, inutilmente: come lui scendeva dalla seggiola, il cazzone
dispettoso si piegava. Allora lui ci rinunciava e passava al tocco
finale: la "neve"! Ogni anno un pacco intero di cotone, i
cui grumi anneriti poi avremmo ritrovato, costernati, in piena
estate. Finito? Non sia mai. Una rapida, convulsa cena e poi l'apoteosi, che riempiva l'intera serata sino a notte fonda. Il presepio!
Il presepio era una libera interpretazione di mio padre, che, sotto
l'albero, infilava un plastico dadaista capace di tutto, ricordo edizioni impreziosite da leoni, astronauti, cow boy e soldatini della II
guerra mondiale. Una volta è riuscito a metterci delle pecore grandi come dinosauri. A quel punto veniva il clou ed io e mio fratello,
fino a quel momento a distanza di sicurezza, ritornavamo a galla.
Perché mio padre si allontanava per un compiaciuto sguardo
d'insieme, ordinava platealmente l'oscuramento totale della casa e
sdraiato sotto l'installazione infilava l'ultima presa del Lego
facendo partire le luminarie. L'effetto era devastante e giuro d'aver
temuto, qualche volta, che quel curioso missile sovraccarico partisse
in orbita. Invece lentamente, inesorabilmente, si piegava sotto il
suo stesso peso e infine stramazzava addosso al presepio. A quel
punto mio fratello ed io ci rotolavamo per terra e nostro padre
perdeva il lume della ragione: "Maledetti! Lo faccio per voi PORCO ************!!!".
Davanti al Bambinello, che lo guardava sgomento e pareva sopravvissuto a un bombardamento.
Noi due andavamo in apnea mentre mia madre scioglieva il lamento di
tutti gli anni: "Te l'avevo detto, che era troppo carico! E se prende fuoco?".
Allora io temevo ogni volta che lui si scagliasse contro di lei tentando
di ucciderla ad alberate.
Un anno, che eravamo già
emigrati nelle Marche, l'alberone vintage veterano di mille
battaglie, tutte regolarmente finite ko, si sfasciò definitivamente
e mio padre annunciò solenne: "Basta fare l'albero, quest'anno
lo compero già fatto e ve la pigliate tutti nel culo!". Io e
Paolo ci guardammo angosciati, finiva il divertimento più surreale
dell'anno. Ma ci bastò vederlo nel negozio di articoli natalizi,
rapito come Pasquale Ametrano, per rinfrancarci: scelse un
abominevole albero di plastica bianca componibile, c'era il fusto, da
montare in due pezzi, e poi tutti i rami e ramoscelli fino agli aghi
di "pino". "Questo sì che è bello! Ma non è ancora completo" e ovviamente gli stese addosso alcuni delicatissimi
nastri argentati, rossi e blu. "Quella roba lì in casa non la
voglio", annunciò mia madre. Lui, polemicamente, piazzò
l'albero "nevicato" sul balcone. Quella notte stessa arrivò
una tormenta che sradicò l'albero: rimase solo il moncone basso del
tronco, gli aghi finimmo per trovarli in riva al mare, che distava un
800 metri in linea d'aria.
No senti, te ti devi cimentare in un qualche racconto umoristico, altro che incazzoso rognoso rompiballe, te la comicità ce l'hai nel sangue. Anche stavolta mi hai fatto piangere, però per le risate!
RispondiEliminaUn caro abbraccio
Sandro da Seveso
E allora, ti propongo l'edizione deluxe, appena rimixata e ampliata
Elimina