La
vignetta è quella che è, sta girando in rete, parecchi l'avranno
anche vista in diretta tivù. Discutibile, opinabile, condivisibile,
non è questo il punto. Il punto è che contiene un'accusa di
quelle potenti: un certo soggetto è un mafioso, un boss, uno che ha la
responsabilità dell'antistato, degli omicidi, delle stragi, delle
faide e quant'altro. Stando così le cose, si aprono alcune
questioni. La vignetta vale per quello che vale, cioè uno scherzo,
una beffa, che come tale non ha pretesa di verità e quindi
sconfessa, svuota se stessa; oppure vale, neppure tanto velatamente,
come manifesto programmatico, come certezza, almeno da parte di quel
mondo al quale l'autore si riferisce? E, in quest'ultimo caso, è
ancora satira o pretende di essere notizia, fatto, verità? Non è
chiaro; ma non basta. Se la vignetta è qualcosa di più di una
vignetta, le servono le prove. Non è sufficiente un approccio probabilistico.
Dove stanno le prove? Finora le hanno cercate parecchie procure,
alcuni magistrati ci stanno costruendo sopra una discutibile carriera
politica, ma, al momento, queste prove non sono arrivate: la
principale bocca della verità, definita da uno di questi giudici
“quasi un'icona dell'antimafia”, si è scoperta, piuttosto,
figlio d'arte. Ora, io posso essere benissimo convinto che il
soggetto, Berlusconi, sia un mafioso (o, più precisamente, che abbia
intrattenuto rapporti, di convenienza, cercati o obbligati è
secondario, con Cosa Nostra). Ma, in uno stato di diritto, io non
posso cavarmela contrabbandando la (mia) verità per sarcasmo, per
satira (o viceversa). O dimostro o ne pago le conseguenze. L'autore della vignetta
le paga? A me non interessa, proprio non interessa, anzi spero di no;
ma sto ponendo una questione generale, non tanto etica quanto di
diritto positivo: di regole, quella materia di cui amano riempirsi la
bocca magistrati, ex magistrati finiti in Rai, giornalisti loro
sodali, vignettisti, figlie di vittime eccetera. In questo caso, io
di regole ne vedo una sola: che chi sta dalla parte giusta, può dire
quello che vuole. Ma se io faccio una vignetta in cui, dico per dire, raffiguro un altro vignettaro come mafioso, pedofilo, serial killer o
cannibale, e per di più la mostro in televisione, beh, ho qualche
dubbio che me la caverei con un applauso, una sghignazzata e una strizzata d'occhio da
parte dei sommi sacerdoti delle regole. Anzi mi viene l'impalpabile sospetto che anche la satira, come la legge, per qualcuno sia più uguale. Sbaglio?
Caro Massimo, ricorderai sicuramente il caso Vauro-Caldarola.. All'epoca scrissi una lettera all'Unità in cui difendevo il Caldarola sostenendo che la sua condanna in primo grado per l'utilizzo di un'iperbole virgolettata suonava pericolosamente come una limitazione della libertà di espressione e che la vignetta in questione era antisemita, non per convinzione personale dell'autore, scrissi, ma per la sua irresponsabilità e sciatteria. La lettera non venne pubblicata, forse era troppo lunga ma il dubbio che certi personaggia siano molto più potenti e intoccabili di quanto vogliano fra credere con i loro piagnistei sulla censura e il regime mi accompagna sempre.
RispondiEliminaMatteo
Il dubbio?
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