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UNA FEDE COSI'


Ed eri nato per questo, fare il prete come non usa più

UNA FEDE COSI'
Pare un racconto di Giovannino Guareschi, e non solo perché il suo sfondo è il Grande Fiume che scorre lungo un Mondo Piccolo e s'incrocia, ogni tanto, con altri fiumi, meno imponenti ma ugualmente tetri, carichi di fantasmi. È lo strazio dell'umanità che contiene. Una mattina un prete di campagna, preoccupato per il terremoto che ha già danneggiato la sua chiesa, decide di entrare a prendere la statua della Madonna, prima che altre scosse le facciano del male. E, proprio mentre la sta portando in salvo, il terremoto si scatena e lui ci muore sotto, schiantato da una trave, abbracciato alla sua Madonnina.
Chissà se ha avuto il tempo di pensare, don Ivan, che sorrideva sempre, dicono i suoi compaesani, e aveva la faccia contadina, serena e un po' stravolta da calciatore anni '60, di quelli che venivano su dalla Bassa. Un buono, un mite. Girava per ospedali e carceri, andava a trovare i vecchi, a vedere se gli extracomunitari di Rovereto sul Secchia e dintorni avevano bisogno di qualcosa. Un prete fuori posto, travolto da un tempo come questo. A volte la vita, con la morte che sempre cova dentro, sa essere più assurda di qualsiasi cinismo. Proprio mentre i terremoti scuotono le chiese e soprattutto quella che sta a Roma, devastata da scandali, da retroscena allucinanti, figli dell'ambizione che consuma, della brama di potere, di tutto ciò che sta fuori dal Vangelo, un prete di 65 anni, dalla fede ingenua e sconfinata come quella di un bambino, si presenta all'ultimo appuntamento con puntualità spaventosa. La sua fine ha fatto ridere qualcuno, che si sente molto ateo e invece è solo disperato, perché non l'ha salvato quella sua fede al confine tra sublime e superstizione, troppo da bambino o troppo oltre la percezione degli uomini. In un certo senso, don Ivan è un altro morto sul lavoro, anche se un lavoro particolare, fatto più di speranze che di certezze. Ma non è morto da sfigato, e non è un martire della fede. È solo una storia tragica e dolce come sanno essere certe storie della Bassa, più vere del vero; e se Guareschi adesso fosse qui, la saprebbe raccontare molto meglio di me.
Io però non rido della morte di un prete di campagna. Io, che la fede l'ho persa, e al suo posto c'è un buco, mi sento solo più solo ancora. Più disilluso, più deluso.

Commenti

  1. Molto commovente sia la morte in sè che il post, uno dei migliori, degno di Guareschi!

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  2. Davvero...molto commovente.

    roberto

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  3. hai commosso anche me. questa, tra le tante, storie che si intrecciano in questa vicenda l'avevo ascoltata di sfuggita. ora gli hai restituito la sua giusta dimensione. e hai dato il giusto saluto a quest'uomo.
    vit

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  4. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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  5. Caro Massimo,
    hai ragione, a me ha ricordato lo splendido racconto di Guareschi “Giacomone”. Se ti ricordi, Giacomone portava in giro un grosso Cristo crocifisso e si fingeva un pellegrino. Sorpreso da una bufera di neve, prima di morire coprì con il tabarro Gesù e gli chiese scusa per il freddo che gli aveva fatto prendere. Pura poesia. E se, come diceva Guareschi, i morti sanno dei vivi, penso che a don Ivan abbia fatto piacere che tu lo abbia ricordato così.
    Un abbraccio.
    Ciao,
    Danilo.

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