Vorrei dirti, se mi
credi, se ti fidi di me, di non sentirti schiacciare dopo un
fallimento. Triste sì, ferito sì: è umano, guai se non fosse così:
non andremmo mai avanti. Sconfitto no. La vita è fallire, e, per
quanto mi riguarda, è stata tutta un fallimento. Ci ho scritto un
libro per raccontarlo. Per testimoniarmi. Ma per chi non lo è? "Ho
sbagliato ancora", dice sempre dr House. Ma non rinuncia a
cercare, ad esporsi a nuove impotenze: che altro potrebbe fare,
quando in gioco c'è una vita? E alla fine, mettendo insieme tutti
gli errori, forse arriva a riprendersela quella vita. Oppure no: è
andata così, nessuno di noi è Dio. Diffida sempre dei soddisfatti
di se': o mentono, o sono cretini. Arrivi in fondo, tiri una riga
sopra al totale, e sono più le cose che non ti sono riuscite, quelle
andate male, quelle che potevano finire meglio. E' la nostra
dannazione, ed è quello che ci fa vivere. Perché tutti, tutti noi
viviamo di rivincite. E, alla fine, ti ritrovi a custodirli, quei
fallimenti che non sai contare, come fossero figli tuoi; sono loro,
ad averti plasmato. Loro, ad averti cresciuto. Loro, ad averti
insegnato. Chiunque io incontri, sul volto ha i segni delle sue
sconfitte: le chiamano rughe, sono vita scavata, cicatrici
dell'esistere. Del resistere. Ed è un mestiere ingrato, esistere,
pieno di tentazioni, di rinunce. Di conti che non tornano, bilanci
tutti sbagliati. Io penso che noi questo esistere lo passiamo
torturandoci, nell'eterno rimprovero di cosa avremmo dovuto fare di
diverso. E invece non ha senso, perché in quel momento non potevamo
comportarci in altro modo. Anche chi vince, fallisce. Perché vince
sporco, gioca sporco ed è condannato a strangolarsi l'anima: si
diventa cinici, ci s'incarognisce, per non pensare, per non
condannarsi e non assolversi. Ci si ripete che è tutta una jungla,
che o mangi o sei mangiato, che non bisogna fidarsi neanche del
Padreterno: e allora è il segno che quel Dio l'abbiamo perso in noi.
Sconfitte, sconfitte. Ma credimi, non rinunciare all'umanità: è
tutto ciò che rimane, ed è l'unica cosa che, alla fine, conta
davvero. Non disprezzare gli ultimi, perché prima o poi sarai anche
tu in fondo alla lista, in ginocchio e allora, solo allora potrai
accettare la tua partita persa. Non fare a meno di perdonarti,
sapendo che altri fallimenti ti attendono, e li sconterai con la
tenerezza della tua fragilità. Perché sei fatto di umanità, e
questo, il Dio che non trovi più nelle spirali della tua coscienza,
il Dio che sei, quando torni arreso, e fragile, e placato come un
mare nella notte, tutto questo il Dio che c'è troppo e non c'è mai
abbastanza, lo sa. E se poi non ti basta ancora, allora specchiati
nel mio fallimento: di più fragorosi non ce n'è, ma io sono ancora
qui che scrivo; scrivo a te.
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