
I miei metodi non li
consiglierei a nessuno ma funzionano e io adesso sono così. Non ci
posso credere, Ero arrivato e pesare 92 chili e non di muscoli: sono
sceso sotto gli 80 e respiro, il cuore non fa più fatica, alzarmi in
piedi non fa più paura. Una parte di me si è sciolta, evaporata.
Una parte superflua, cattiva. Ho fatto, credo, qualcosa di sovrumano,
o disumano, perché alla mia verde età ci vuole una volontà feroce
o non lo so che cosa, magari arrivarci con una dieta da vietare per
legge. Ma adesso addosso mi scendono i vestiti, non più lo sguardo
di chi mi notava. Non è la vanità del dimostrare agli altri venti,
trent'anni di meno, è il sollievo di non dimostrare a me stesso
trent'anni di più. Dimmi quello che vuoi, che sono puerile, che sono
fatuo, patetico se credi, ma per me è come rinascere: ho tanto
bisogno di far pace con me stesso, di non detestarmi ancora, di non
sentirmi in debito con una vita che invece mi prende tutto e non
restituisce niente. La mia missione è farmi male, cercando di far
bene agli altri. Io sono un consolatore, lo sono sempre stato. Sono
quello che intercetta il tuo dolore, lo asciuga, sa medicarlo come
nessuno e tu lo sai; lo capisci appena mi conosci, il resto viene da
sè. Questo mestiere fatto di parole, questo mestiere che è la mia
vita ha potenziato tutto, mi ha imprigionato in un destino. Lo sa
solo Dio, se esiste, a quanti di voi ho tenuto compagnia, in quanti
vi ho raggiunti, nei posti più improbabili, spaventosi a volte, per
strapparvi alle tentazioni più insidiose. Quanta voce io, scritta
oppure consumata a parlarti, a tirar fuori il meglio di te. A
convincerti che eri più di così. A trasformare le ombre in calore.
A mentirti, se occorre, per darti coraggio. Sapendo che un giorno mi
sarei ritrovato orfano anche di te, perché la vita spinge via e non
posso fartene una colpa. La mia missione è la solitudine, è
lasciarmi fraintendere, quando dico che ci sono, che ti voglio bene e
non ti lascerò, so già che un giorno la mia sincerità la
fraintenderai, impugnandola come un coltello per ferirmi. Non cerco
alibi, non provo più a spiegarti. A spiegarmi. Ogni volta io ti
faccio crescere, e tu hai un volto sempre diverso ma sei sempre tu,
con i tuoi guai, le contraddizioni, quello che non sai ammettere e
per questo mi cerchi, preda di un dolore che chiama, vuol essere
rassicurato. Sconfitto. Risolto. E ogni volta, quando ti senti
guarire, quando ti vedo cominciare a crescere, mi ripudierai
accusandomi di ciò che mi chiedevi. Ciò che ti serviva, che da me
pretendevi. Tu mi chiedi di esserci ed io so farlo solo così. Senza
riserve. Senza assurdi confini. Ammettendo tutto il bene. Alzandomi
la notte se mi chiami, non negandomi mai. Perché risparmiarmi mentre
affondi non ha senso. Negarmi non ha senso. Sparire è da vigliacchi.
Sono un consolatore che non chiede aiuto, il suo compito è darlo, e
si dispera perché non sa imparare, non cambierà mai. Ma, se devo
restare quello che sono in un'anima ricamata di cicatrici, lo resterò
anche nella carne viva. Mai più così pesante da non fare le scale.
Mai più così sfasciato da non guardarmi allo specchio. Non voglio più diventare vecchio. Ci sono
arrivato a modo mio, senza compromessi, spremendo il mio sangue e il
mio orgoglio. Adesso lasciami qui, a pensare che questa vita è come
la mia sigaretta che brucia male e dietro c'è la pioggia, sembra
smettere e invece riprende più ostinata di prima.
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