A volte ci si stanca
semplicemente d'esserci. Esserci per gli altri, esserci per se
stessi. Battere i soliti marciapiedi, i medesimi orari, la routine
che ti mangia vivo e pensi se abbia senso ritrovarsi qui; se sia
colpa tua, che non hai osato, o se il destino esiste e non gli
sfuggi. Quelli che mi esaltano perché sono un duro, non sono forse
gli stessi che poi con me non camminano, che mi perdono come uno da
tenere lontano? Ma io non sono un duro, sono sensibile e ho tutto
conficcato dentro: niente se ne va, ogni cicatrice è un tatuaggio di
memoria. Esserci, per ricevere le croci. Accoltellato di croci.
Inchiodato alle croci. Essere un parafulmine, un paracadute,
lasciarmi fraintendere, sopportare una immagine bugiarda. Esserci,
trovare le parole per un conforto, per una bugia. Ma a me non mento.
A volte mi stanco di sorridere per tutto e per niente, di difendere
un coraggio che non ho. Mi stanco perfino di non credere, di non
aspettarmi nessun aiuto da nessun cielo, di sentirmi condannato
mentre cammino sotto la notte, la sigaretta in bocca, e una volta di
più non posso sentire chi sono. Non dico non sapere, è proprio un
non sentirmi, un disperdermi chissà dove sfarinandomi di pensieri
inutili. A volte, sì, mi stanco di essere un criceto nella ruota dei
giorni, e già devo ricominciare da dove non ho mai smesso. Non ce
l'ho più quella rabbia del dolore, c'è solo un disagio sempre più
rassegnato, più accettato, anche se so che non cambierà il ruolo
del mio fantasma: quello di uno che resiste sempre, indistruttibile e
orgoglioso. Invece ci sono solo passi di un uomo solo, non un duro,
uno che ha avuto l'unico coraggio di non negarsi al dolore suo, a
quello di chi incontra, e finalmente è saturo, non sa che fare di
sé; testimone del mondo che non gli appartiene, anche se lo racconta
ogni giorno.
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