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REHAB



Adesso posso confessarlo: sono stato due settimane in rehab. Che rehab? Da social. Una sera guardavo un telefilm, e c'era la gente al suo peggio, pronta a ribaltarsi dall'osanna al crucifige di un povero cristo: non c'è come una storia di fantasia, quando è fatta bene, per inchiodarci alla realtà, e quella gente, che si agitava in una città americana, fomentata da un programma televisivo americanissimo, era “la gente”: era eterna, icastica, era la gente di sempre e di ovunque. E allora mi si è accesa la lampadina: ma perché io, che la gente non la sopporto, debbo perderci tempo con i miei commenti compulsivi su twitter, su facebook? A chi interessa, sapere come la penso, e soprattutto cosa interessa a me di far sapere alla gente imbecille, pronta a esaltare e subito a scannare, cosa penso? Mi sono osservato dall'esterno e ho provato disagio. Nausea di me se stesso, compatimento, imbarazzo: è bastato, e mi sono staccato da tutto. Nei successivi quindici giorni non ho praticamente rilasciato alcun commentino, salvo indicazioni tecniche o link di articoli. Beh, che ci crediate o no, io sono rinato; sono tornato umano, mi sono ricordato di cosa vuol dire essere una persona che pensa, che parla, che comunica solo tra pochi, con misura, e quando ne vale la pena. Un giovamento quasi spirituale, un benessere mentale che avevo completamente perduto. Ecco qua: sono sopravvissuto, mi sono disintossicato e non è successo niente, il mondo non ha smesso di girare ed io ho vinto la tentazione di ripetere per l'ennesima volta che il riscaldamento globale è una truffa (dicevano che il freddo era finito per sempre, si gela e allora inventano che “il pianeta ha perso la testa), che l'attuale pontefice è uno scriteriato fazioso, che la politica fa più schifo che mai, che la retorica alluvionale – sui migranti, sul metoo, sul gender, sul capitano mio capitano, sui giovani da recuperare – non si regge più, che, che, che... Ma sì. Ve lo lascio tutto, il lavoro sporco e non retribuito sui social. Ve li lascio tutti, i mattatoi in rete. Ve la regalo, l'indignazione permanente e l'aspirazione patetica a denunciare l'universo. Come dicono gli inglesi: non spiegare, non giustificare. Vi osservo, e mi sento più lieve. Mi sento libero, finalmente.

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