Per me a
Natale non cambia niente, non ho amici da raggiungere, impegni da
onorare, non smetto di fare quello che faccio tutto l'anno. Proprio
per questo, mi sento più giù. Mi pare tutto spento, tutto vuoto e
inutile. Mi sento addosso il peso di un anno, tutti i sacrifici, le
risate per non morire, e non so adagiarmi nel momento di vacanza,
preferisco rifiutare ogni relax, tanto poi c'è sempre qualche
rugginosa incombenza che ti travolge. Sarò io, che non so
organizzarmi la vita, ma penso che non si dovrebbe vivere così soli,
isolati, anche se poi mi accorgo che più o meno per tutti è così.
Forse in passato era diverso, non lo so, mi pare di ricordare viaggi
omerici, tavolate furibonde di parenti e tombolate e carte fino
all'alba, ma ero piccolo, giovane e invece ormai da anni, da decenni
ho smesso di ricordarlo il Natale, per mancanza di presupposti, e non
so più celebrarlo così come si disimpara a fare il nodo della
cravatta. Al punto che neppure ritrovo la dolce schiavitù dei
regali, anche se stamattina ho saputo di una amica, dolce, cara, che
si è ricordata di me. Mi ha scaldato, non me l'aspettavo. Non ci
sono abituato. Non lo vivo il Natale e cerco di non viverlo, aspetto
che passi e vederlo passare e ciò che fa più male: una
interminabile sfilata di fantasmi, che mi vengono a disturbare sulla
canzoncina maledetta di George Michael.
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