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LA GABBIA



E' strano, o forse no. Trentaquattr'anni che sto qua, dove ho intrapreso la professione giornalistica (o di puttana, è uguale), stagioni senza fiato, avventure di ogni genere, sacrifici e un ruolo indiscusso tra i cronisti locali. Ma non poteva bastarmi e, quando mancarono alla parola data, sbattei la porta. No, non mi dice bene coi media locali, giusto mi rimane una rubrica domenicale sul Resto del Carlino; tutto il resto io lo svolgo lontano, in particolare dove ho lasciato l'anima: lavoro principalmente con Lettera43 e ItaliaOggi, entrambe a Milano, poi con Atlantico che sta a Roma, oltre ad occasioni saltuarie con altri interlocutori, sempre altrove. Qui, niente. Giornali, neanche a parlarne. Mi piacerebbe fare un po' di radio, ma non si trovano spazi. Quasi quasi, l'estate scorsa stavo per farla a Napoli, a Radio Kiss Kiss con la mia amica Daniela Martani, avevamo fatto anche i provini, andati benissimo, piaciuti a tutti, poi la cosa è sfumata per logiche interne. Cose che capitano ma, insomma, è come se qualcosa, qualcuno nell'universo mi dicesse che, dopo una vita, tante vite, non è questo il mio posto, che infine debbo tornare dove ho radici, ricordi, fantasmi. Così mi ripetono amici cari, direttori di prestigio, lettori affranti. Ma non posso impacchettare la vita mia, quella di mia moglie, quella di mia madre, e gettarle in un salto nel buio, tanto più che ormai si lavora a distanza e le distanze sono annullate dalla tecnologia; non è del tutto vero, la presenza sul posto, l'incontro fisico mantiene ancora la sua importanza, a volte decisiva. Ma non ho più l'età per sfidare la sorte, qualcosa che potrebbe costare troppo caro, e senza rivincite. So solo che c'è qualcosa che mi respinge qui, mi chiama da là, e questo nutre la mia nevrosi di uomo che si sente in gabbia ma non ha gli strumenti per spaccarla.

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