La mia giornata tipo,
ormai da un'eternità. Mi alzo. Butto giù un caffè e un pezzo per
il Faro. Un altro caffè e un pezzo in cantiere per Lettera o per il
Carlino o quello che arriva. Vado da mia madre, per occuparmi di lei
e dei gatti. Un altro caffè. Torno. Scrivo. Mangio. Un caffè. Scrivo
ancora. Leggo, studio, seguo la cronaca. E intanto scrivo, accumulo,
metto via. Se non c'è mio fratello torno da mia madre. Gatti,
medicine. Se non vado dal medico rientro. Mangio. Un caffè. Leggo scrivo seguo. Organizzo.
Tampono. Sopravvivo a stento e senza motivo. Crollo, sempre se non arriva
una telefonata d'urgenza. “Mi diverto solamente a dormire”, come
nella Canzone della terra di Battisti. Ma dormire per modo di dire,
ormai è un coma vigile e anche in quello io immagino, io scrivo con
la mente. Apro gli occhi a fatica. Ricomincio. Niente feste, niente
estate, Natale, fine settimana, vacanza, gite, viaggi. Se mi
allontano per lavoro, torno prima di subito. Tutto così, un
ristagnare con il cuore in gola che non lascia spazio per nessuna
atmosfera, nessuna fuga mai. Innocenti evasioni, zero. Poi trovo la
faccia da cazzo di turno che dice ah, io sono uno di successo, mi
godo la vita, mi faccio tutte le donne che voglio. Mi viene il voltastomaco, mi sale una bestemmia dal cuore, ho voglia di spaccare ossa, di costringere a stampelle a vita.
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