Noia. Indifferenza. Un
pizzico di disprezzo. Non c'è tensione, non c'è emozione, nessun
dolore. Del resto, come dice la moglie del Perozzi: “Si piange
quando muore qualcuno, ma oggi non è morto nessuno”. Il Mucchio
non era nessuno. Da un pezzo, e a me la sua dipartita lascia così freddo, come un dannato ghiacciolo; mi accorgo che succede lo stesso ad altri
che ne hanno scritto in queste ore: Eddy, Federico: quante volte ci
abbiamo scherzato su, in questi anni, anche in questi ultimi giorni,
aspettando pazienti il nostro giorno. Adesso che è successo, non
proviamo niente. Proprio niente. Come fossimo saturi di ricordi, di
delusioni, di squallore. Un'altro sentimento, mi accorgo, ci
accomuna: la sensazione che quel giornale, al quale demmo tanto, che
ci prese tanto, era finito nel momento stesso in cui ne eravamo
usciti. A me successe prima di tutti, addirittura sette anni fa: le
cicatrici sono qui, posso vederle, mi hanno reso un uomo diverso.
Allora perché ne sto parlando? Perché non parlo di quel cadavere,
parlo ai lettori. I quali mi stanno proponendo, in tanti e neppure lo
sospettano, una prospettiva pazzesca: perché non ricominciate da
capo, ancora voi, tutti insieme? I lettori, io non posso biasimarli
se ragionano, in bene e in male, col cuore; li capisco, anche se è
il loro cuore: non il mio. Non c'è niente da fare: per loro, noi
saremo sempre quelli dell'altra parte, quelli che andavano a cercare
in edicola, e che adesso, in ordine sparso, rintracciano in rete. Noi
siamo quelli che hanno colorato i migliori anni della loro vita, li
hanno appassionati, eccitati, consolati, fatti incazzare, costretti a
riflettere, ad amarci, a mandarci affanculo. Noi siamo stati la loro
vita. Io questo lo so, e figuratevi se gliene posso fare una colpa:
Dio, che giorni furono anche per me. Però, detto questo, mi tocca
aggiungere che questo loro sogno, per quanto mi riguarda, è non solo
improbabile, ma proprio impossibile. Improponibile. Per un coacervo
di ragioni, delle quali quella finanziaria è l'ultima: ci fossero i
presupposti, tornerei anche gratis. Ma il fatto è che io non sono
più quello: di allora, serbo le cicatrici: e, ogni tanto, ancora
bruciano. Sono troppe, e non le meritavo: non le meritavamo. Quella
fase, che per molti di voi resta un'epoca, l'abbiamo scontata anche
troppo cara. Ed è inutile che proviamo ancora e ancora a farci
capire: non serve a niente, parlare è facile, bisogna esserci
passati con tutto il carico di amarezze. Del resto, come si dice
ancora in “Amici miei”, l'amore è così: dura fin che c'è, e,
quando non c'è più, è inutile insistere: non c'è più. Cari
lettori, io apprezzo il vostro sogno, ma il tempo non aspetta
nessuno, non si può avere sempre ciò che si vuole, e adesso è
tutto finito. Lascialo sanguinare.
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