Cosa mi suscita una
canzone come questa, una piccola, dimenticata canzone pop come
questa? Mondi. Eoni. Visioni. Ci sono io sul motorino, un pomeriggio
di mare, ma il mare non lo trovo, ha inghiottito la mia solitudine
mentre lo guardo, mi confondo, mi fondo al sole che mi schiaccia e ci
sento addosso il peso della vita. Guardo lontano, a un orizzonte che
non vedo e penso, sospetto che la vita sarà tutta così, solo questo
aspettare senza meta. È l'indolenza del posto nuovo, dove scendi per
le vacanze, ti stordisce quel ritmo dilatato, quello spazio di
campagna anche se è mare, le valli da raggiungere in motorino se
voglio fuggire dalla desolazione di una spiaggia dove non ho nessuno,
mai nessuno e così mi rifugio nella radio, chiudo gli occhi e il
sole disegna arabeschi sotto le palpebre, fuggo sul motorino fino a
quei vicoli, quelle piazzette inutilmente belle, quei muri di gatti,
quelle ombre squagliate, quei silenzi distillati che un'imposta li
rompe, fantastico di poter vivere quaggiù, ma come, come se niente
sembra a me succedere mai. E un giorno lo scoprirò, e a tradimento
sarà il resto della vita. C'è l'attesa di innamorarmi,
l'innamoramento senza amore che è perenne, passa da un sogno
all'altro, da un miraggio all'altro e mi lascia estenuato; sono un
sensibile, uno che immagina, che si strugge, sono un sensuale. C'è
quel ghigno di malinconia che in controluce mi ghermisce ogni
tramonto, quel sapore di malattia endemica e sottile, la voglia di
fuggir via, tornare su alla vita, la vita che riprende, il settembre
sospeso, l'attesa della scuola, riguadagnare i vecchi spazi, i tempi
soliti, ritrovare me stesso, ecco, appena rientro capisco meglio chi
sono, è l'inganno del posto dove nasci, dove stai bene. C'è quel
sentirsi ferito, nella canzone, presago dell'inutilità di te, che
lavorerai una vita, scriverai sempre ma senza poter lasciare un corpo
del tuo sforzo, un insieme definitivo, solo coriandoli sparsi di
pensieri, di fogli.
E adesso io sono qui. Che
ancora ascolto una vecchia canzone. Ma la sensibilità è invertita,
ora è tutta all'indietro. Ma sono bianco, diffido del vecchio che
divengo, mi sento scaduto, avariato e inservibile. Mi sento
repellente, ed è una sensazione che non mi dà pace, non mi piace.
Ho intorno i miei gatti, il loro affetto misterioso e istintivo, la
feroce tenerezza delle smorfie, la magia con cui trasformano una
piccola casa noiosa in una jungla, e il fremito di un attimo mi pare
eternità che muore, che svanisce; in quel gesto già colgo la
mancanza, mi specchio decrepito e disperato, solo in un ospizio, e
sassi di ricordi mi maciullano, la vita infinita con mia moglie, il
mio dipendere da lei, gli squarci di speranza sempre più radi, gli
scherzi quotidiani col mio amico al telefono, il motorino, l'estate
desolata, la maturità scadente, il mare che ha sapore di
rassegnazione, i gatti che mi parlavano dell'eternità e l'immane
crudeltà di quel rimpianto è peggiore della morte che ancora non si
decide.
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