Basta scrivere, leggere,
friggere. Verso sera ogni sera prendo la Vespa, ma dopo un poco di
zigzag, come ogni sera, viene a piovere. Niente di che, le solite
quattro gocciole sulla visiera, ma bastano a spegnermi un po'.
Mestamente ritorno ai box e penso che non mi entra l'estate, non mi
contagia più. Dico quell'impressione d'indolenza, quel relax
compiaciuto, pigro, che mi trasporta un poco ai tropici, che mi
riporta profumi di fumetti e di canzoni (l'ho già detto, lo so,
porta pazienza mio lettore). Sono troppo vecchio? Questo non lo so,
quello che percepisco, che non discuto son quelle sensazioni
inchiodate a chissà quante vite fa eppure tanto forti; più forti
ogni anno che passa, che guadagno, che perdo, ogni estate che viene e
non ritrovo. Tutto è cambiato attorno a me. Dentro me. Nella vita
mia, più di quanto sia lecito chiedere ad un uomo, ma quella gabbia
d'emozioni è ancora qui con me. Dentro me. Non passa. E non passa
l'estate, non mi arriva in queste sere che si fanno lunghe, che tra
un mese scemeranno ma ora affogano nella pioggerella, stupida
dispettosa. Se ci penso, non ho più avuto una primavera in 35 anni.
La stagione del risveglio, che tanto mi stordiva, esiste perché non
esiste, la rievoco perché non viene, la ho finché la cerco. È come
Dio. È buffo però, è atroce: a forza di tener tutto, ogni
sensazione di un sole remoto, di musiche che girano dentro come il
sangue, di fumetti ingiallati a forza di guardarli, ho perso tutto,
vivo nel vuoto spinto del mai, sotto un cielo di pianto. A furia di
conservare chi non sono più, ho ucciso chi dovevo essere. Ecco, mi
sembro quell'uccello che s'appoggia al cavo della luce e vola via,
nella pioggia insapore. Sono troppo vecchio?
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