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PUNTO DI NON RITORNO


Dopo Sanremo ero tornato in una forma decente grazie a una settimana di dieta di Maria Antonietta (brioches e acqua minerale), poi in altri due mesi d'inverno spietato, detto anche riscaldamento globale, sono crollato e allora ho provato a scuotermi, sono andato sulla riva a respirare un po' di polvere di mare. Più che una corsa una passeggiatina veloce, roba da prendersi un po' in giro ma anche così ero esausto. Sudavo, non ce la facevo. Tenevo duro, ma la mente insisteva: chi te lo fa fare, lasciati invecchiare sfasciandoti, tanto è quello l'epilogo, queste sgambatine da anchilosato ti servono al massimo a guadagnare un infarto. Non mi sentivo Rocky che torna sul ring a 50 anni suonati, mi sentivo un povero rottame patetico, eppure, questa è l'ironia della faccenda, devo forzarmi perché meno mi scuoto più mi rottamo. “Senza esagerare”, dice il medico che conosc ela mia anagrafe meglio di quelli che mi incontrano e, scoprendo la vera età, immancabilmente commentano: complimenti, come te li porti bene. Ma no, me li porto addosso e li sento tutti quanti dappertutto. Tornando, sono cascato nella vetrata di un albergo e avevo lo stesso passo strascinato di mio padre, la stessa postura. Mi sono inquietato, sentendomi mai così mortale. E mi è mancato di più. Ero lui, con la stessa fatica di vivere che in pubblico nascondeva facendosi gioviale. Adesso capisco. Lui però se ne fotteva della ginnastica, era un animale da città e ha fumato e esagerato fin che ha potuto. Dopo basta, dopo si è schiantato. Io ho capito che sono arrivato al punto di non ritorno, la mancanza della primavera: non ha più senso aspettarla se poi giunge così ansimante, così rantolante. Meglio non viverla, e non viversi.

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