Sono tornato quasi vivo
dal maelstrom. Acciaccato, perché Sanremo è così, ma, tutto
sommato, tonico. Anzi rehabilitato, visto che uso questa settimana
per depurarmi: dieta di Maria Antonietta, a base di cappuccini e brioches, acqua minerale
a ettolitri, nessuna sigaretta, niente additivi. E tanto, tanto
cammino: il mio alloggio stava a quasi 2 chilometri, in salita,
andare su e giù più volte al giorno, e soprattutto di notte,
richiede una cospicua dotazione di biancheria di ricambio, ma rende simili a Rocky quando doveva sfidare Ti spiezzo in due. Anche
perché ho avuto in sorte una sistemazione amichevole, ma, inopinatamente, del tutto
priva di riscaldamento e acqua calda. Profumavo di uomo, insomma. “Ti trovo bene”, m'han
detto al ritorno, in diversi. Come no, ho un sistema infallibile,
però non è per tutti, si basa su un percorso a ostacoli. Per dirne
uno solo, ieri il treno (12 ore di viaggio in totale) è partito da
Sanremo con 25 minuti di ordinario ritardo, avevo la coincidenza a
Milano in 20, lungo la strada ha recuperato, è arrivato con un
margine di 18 secondi e ho dovuto lanciarmi in una galoppata
furibonda tra i binari. Sono rotolato nel convoglio che già partiva,
ma ho sputato lobi polmonari fino a casa. Ho un'età, io, una
condizione fisica discretamente indecente, mica sono Morandi che
corre tutto il tempo. Vorrei sentitamente ringraziare chi mi ha
seguito in questa settimana e non per circostanza, il punto è che
nel vortice ti può capitare di “sentirti solo come solo una folla
può farti sentire”, ma per fortuna c'eravate voi e quel sostenermi
anche commovente, come fossi al fronte anziché all'Ariston,
significava tanto. Io poi mi sforzo di portarvi racconti non
convenzionali, non accomodanti e il rischio è per definizione
pericoloso, può andar bene oppure ci si può mettere di mezzo la
variabile impazzita che manda tutto all'aria. È un po' un discorso
tecnico, da professionisti, ma insomma penso che ci siamo capiti.
Quest'anno, vi dirò, si respirava un'aria tignosa, tetra, la Rai
come vi ho narrato era particolarmente incarognita perché, partito
tra i mille dubbi di chi non sapeva davvero che fare con quella
enorme cosa tra le mani, il Festivalone gli ha girato giusto a
prescindere, a botta di culo e, quando si scampa un pericolo, i casi
sono due: o si ringrazia il cielo o si diventa arroganti.
Immaginatevi voi chi arrogante lo è già per costituzione,
definizione e tessera politica. Cose da ricordare: il piacere di
lavorare, di scrivere, di non nascondere niente e qui dovete
ringraziare tanto me quanto la mia testata, Lettera43, che me lo ha
sempre consentito; i vostri messaggi, il sostegno, la presenza;
qualche incontro, amici vecchi e nuovi che si agitavano con me nel
gran bordello, appuntamenti, abbracci clandestini come tra amanti
veneziani (con Cristicchi: che avevate capito?). Lì è un po' come
al ritorno a scuola e, vi dirò, nell'atroce stanchezza dell'ultima
sera, un refolo di tenerezza l'ho provato nel vederli tutti stravolti
e chini sulla tastiera, come me, ciascuno nel suo viaggio, ciascuno
diverso, ciascuno in fondo perso per i pezzi suoi. Ci sono storie
nelle storie a Sanremo, ci sono i dietro le quinte privati, che
restano dentro, che non possiamo scrivere. La sola sala stampa
meriterebbe un film a parte. Ci sono i veleni e i sorrisi, le
confidenze, i momenti di arresa sincerità, la sorpresa di amicizie
che escono da sole, senza prima avvisarti, lo fanno e basta, ti
riportano a chi eri. Io non dimenticherò una passeggiata notturna ad
ammettersi, a confessarsi senza pudori, tanto ormai si poteva. Due
giorni prima, l'unico presupposto erano i miei pregiudizi. E sì che
dovrei conoscerlo, l'ambientino. Ma io non sono una figa di legno,
sono uno che ha bisogno di divertirsi per ingannare i fantasmi e
questo lo capiscono in pochi, lo sa fare solo chi, come me, difende
un inguaribile spudorato candore e ha cose di cui pentirsi: per
poterle affidare, rinfacciare o irridere. Se trovo chi sa commuoversi senza difese per una canzone di Lucio Dalla, io mi lascerò rapire, facendone una preda. Se trovo chi mi regge il
gioco, chi mi accetta, riconoscendo la mia stranezza, posso sempre tornare chi sono: alla faccia di
chi ci vuole male.
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