Dirò
che io, distante in modo angoscioso da qualsivoglia forma di
benessere e di sicurezza come sono, mi trovo d'accordo con il sindaco
di Como che, in una ordinanza, ha vietato l'accattonaggio in centro
città per 45 giorni, vale a dire il periodo delle feste. Sono
d'accordo, e più mi ci sento ascoltando il piagnisteo o ipocrita o
vaneggiante dei vari angeli, volontari, coscienze sociali che
vogliono un mondo diverso, come se qualche ciotola calda fosse mai
servita ad estirpare la fame nel mondo e dal mondo. “Non possiamo
più portargli la colazione!”, piagnucolano, più per loro stessi.
Come se la città non li riguardasse, come se ogni città dovesse
riflettere una sorta di Calcutta volta a testimoniare le ingiustizie
del capitalismo e dell'umano cinismo. Ma proprio no: una città è
una entità da preservare, da tutelare nella sua bellezza e nella sua
vivibilità, anche perché i cittadini pagano fior di tasse per
questo. Non un biglietto da visita del vittimismo sociale, mistico o
politico. Non un pretesto per una vanità morale. E se c'è una cosa
che le nostre città tutte le accomuna ormai, è la perdita di
controllo, il loro inesorabile scivolare verso una situazione di
degrado e di sbando a volte sconcertante. A Roma non ne parliamo, ma
girate per esempio il centro di Milano, agghiacciante nelle file
ininterrotte di sbandati del mondo che coprono i marciapiedi da Duomo
a San Babila scaricati – da tutti, anche dalle truppe populiste dei
servizi sociali comunali - dentro i sacchi a pelo. Sono troppi,
nessuno potrebbe aiutarli. E difatti, restano lì abbandonati a loro
stessi. È questione di limite, qualche mendicante non dà fastidio a
nessuno, gli sfortunati che chiedono l'elemosina ci sono stati
sempre, provocando una fitta più o meno acuta, più o meno sincera
in chi tira dritto; ma un centro occupato da mendicanti (che, quasi
sempre, rifiutano qualsiasi alloggio alternativo), finisce per
ingenerare assuefazione, insofferenza, crea problemi che non è
giusto lasciar lì come se non esistessero. Sono d'accordo col
sindaco, che non conosco (ma che scopro avere lunga esperienza come
medico d'emergenza e uomo non abituato a voltare le spalle alla
sofferenza diffusa), anche quando dice che non c'è una volontà
punitiva; non è neppure un problema da porsi, questo, la volontà è
di civiltà, punto e basta; chi la mette sulla “cattiveria”,
contrapposta alla presunta sensibilità di chi reca il cappuccino, è
solo un esaltato, uno che si nutre di un paternalismo rozzo,
favolistico: non è così che si risolvono i problemi, né dei
singoli, né della collettività, intesa come città, il cui scrigno
va rispettato tanto quanto i miserabili che si sono arresi. Nessuno
viene deportato, come salmodiano, mentendo, i presuntuosi del
salvataggio sfogandosi sul solito Facebook: è semplicemente
questione di organizzarsi in modo più razionale, e anche civile.
Difatti le colazioni e i pasti caldi che i vari angeli barbuti non
hanno più potuto elargire sotto i portici di Como e specialmente
sotto gli occhi di tutti, chè un po' di pubblicità umanitaria non
fa mai male, adesso vengono preparate e servite direttamente in
oratorio o alla Caritas, che per l'appunto sono tra i luoghi a questo
servizio deputati. Non ci perde nessuno, ci guadagna la città. E,
tutto sommato, ci guadagnano anche gli stessi clochard, persone
sfortunate, deragliate, che spesso occorre, con pazienza, con ferma
dolcezza, fare ragionare, per poterla aiutare davvero.
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