Uscendo dal turno in
ospedale la domenica sera passo davanti a un chiesa e ci sono i
cattolici che escono e li invidio, rimpiango quando ero anch'io dei
loro e potevo aggrapparmi a qualcosa per andare avanti. Adesso non ho
niente, non c'è rimasto niente e sempre più inevitabile avverto il
disgusto per questa vita che mi sono scelto, che mi ha scelto, che è
l'unica rimasta ma non la vorrei, non serve a nessuno, me per primo
questa vita di tenebra. Cosa è mai questo solipsismo demente, questa
illusione da alienati, queste ventate di parole che volano via
subito, soffiate da nuove parole inghiottite nell'oblio? Più
invecchio e più mi pesa questa esistenza circolare, questo
incantesimo che non so più difendere. Con tutte le cose che potevo
tentare. Proseguo sulla Vespa e mi risuona forte l'invocazione atroce
di Caterina, la figlia di Saviane, “Per chi scrivi, padre mio, che
tutti ti odiano e parlano male di te?”. Capisco che è tutto qui,
un disperato narcisismo che finisce in malattia, in furore
sconosciuto: chi ci crediamo di essere, noi che ci aspettiamo di
essere letti, discussi? Chi mi credo di essere io, che non mi sento
degno neppure della mia ombra, io che se potessi mi confonderei nella
notte, ci sparirei dentro? Cosa insisto a fare, io che non credo più
alla verità, non credo alla testimonianza, non m'illudo più neppure
di tenere la compagnia di un attimo? Non lo vedo che sono trasparente
come vetro e allo stesso modo fragile, ma meno importante? Perché
ancora non rinuncio? Per me, perché non c'è altro che io possa
fare? Per quelli che mi scrivono vai avanti, non mollare? O per
quelli che mi odiano e parlano male di me? E poi rincasare,
sfasciarsi sul divano, un telegiornale sempre uguale per cena e poi i
telefilm di quelli disperati come te ma che la gente la salvano, la
aiutano davvero, medici, pompieri, sbirri che almeno un motivo, un
pretesto, una menzogna per tirare avanti, fin che non li ammazzano,
ce l'hanno.
Me lo chiedo anche io, quando smetto di scrivere e mi guardo intorno. Poi succede come stasera, stravolto dal lavoro scrivo due pagine con le mani che mi fanno un male cane, mi lavo, stappo una birra sottocosto e mi metto alla finestra a guardare per strada con gli occhi gonfi di lacrime.
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