A maracas ferme (così le
agitiamo un altro po'), qualche considerazione dopo il mio pezzo sui
Rolling Stones a Lucca che ha scatenato presumibili furori, perché
il vaccino contro il tifo, inteso come fanatismo, non è ancora stato
trovato e mai si troverà. Non mi ha stupito il livello, mi ha
colpito la conferma del medesimo (a margine, direi che qualche amico
animato dalle migliori intenzioni dovrebbe farsi un paio di conti e
capire se gli conviene tenersi dietro la feccia: io, quella che avevo
addosso me la sono scrollata tutta e da me nessuno si permette
commenti meno che educati, all'indirizzo di chiunque: vivo meglio di
prima, i numeri non sono niente se sono negativi). Quei furori
scomposti sono la prova provata che il ragionamento medio, anzi
mediocre, si regge sulla contraddizione; io ne ho individuate
diverse, piuttosto interessanti. Primo controsenso, l'analfabetismo
di andata e ritorno: al di là dei sapidi strafalcioni che non
mancano praticamente mai in chi mi attacca, perché lo stile fa
l'uomo e anche la donna (inoltre le facce non mentono mai, e certe riconducono infallibilmente ad antichi mestieri, largamente condivisi), c'è un
fatto: io, nel pezzo, dico, e credo anche con una certa chiarezza,
che i primi concerti di questo tour sono stati faticosi, strazianti –
visionare i filmati per credere – mentre a Lucca, via, ci si poteva
contentare: assieme alle note dolenti non sono mancate quelle
salienti, che ho correttamente elencato (la buona forma di Jagger,
l'inventiva di Wood, il tanto blues, la complessità dello show).
Hanno voluto, o potuto, capire il contrario, quel che secondava loro,
e a questo punto è inutile insistere. Secondo controsenso, la più
noiosa e scontata delle insinuazioni: questo qui è uno che cerca
pubblicità. A certa gente sfugge che il mio mestiere viene inteso,
perlomeno da me, come il diritto-dovere di scrivere quel che c'è,
non quel che fa comodo ci sia (o non ci sia); ma, puntualizzato
questo, ammesso e non concesso che io scriva per farmi notare, non lo
capiscono che in questo modo non fanno altro che assecondare il mio
(presunto) sforzo? Quanto sarebbe più facile e conveniente
ignorarmi? Terzo controsenso. Qualche esaltatella in posa mi ha
scritto, ah, ma tu non sei rock. Sicuramente, né mi pongo il
problema, altrimenti avrei fatto altro nella vita. Il punto, però, è
che il rock, fino a prova contraria, è quella faccenda che dissacra,
che frantuma i santini, mette in discussione le icone, fa incazzare,
è eretica, è irriverente: tutto il contrario del loro conformismo
genetico; se tanto mi dà tanto, sono più rock io di tutti i bigotti
che nei Rolling Stones di turno non vedono altro che martiri (il
trionfo del grottesco). Quarto controsenso, quelli che vengono a dare
lezioni di musica e di giornalismo. Questi sono i più patetici, in
tutti i sensi, e non me la sento di infierire. Di precisare una cosa,
sì: a ciascuno il suo, io la critica me la faccio insegnare da Eddy
Cilia, non dalla prima che passa di qua e si è convinta che
criticare vuol dire che un disco è bello perché “le fa bagnare le
mutande” (nessun filosofo: cito Keith Richards). Voi non avete idea
di cosa sia questa roba che ha a che fare col raccontare, per cui
restate pure nelle camerette della vostra vita e non allargatevi,
ragazzini. Lo stesso vale per gli allegri vagabondi che mi bacchettano, con enfasi inversamente proporzionale al peso specifico: il guaio di questi accorati, è che, non paghi di strimpellare, scrivono: e scrivono esattamente come strimpellano. Ora, lo spettacolo della irrilevanza in soccorso della grandezza merita comprensione, ma i portacustodie in nome delle star non meritano altro che pernacchi. Quinto controsenso: chi
contesta il mio pezzo “pieno di insulti” non rinuncia mai ad
insultarmi, il che tradisce una esemplare concezione della
democrazia, del diritto di critica, di quello di cronaca, e non c'è
dubbio che sono i più accaniti nel denunciare regimi e bavagli a
tutto spiano. Cianciano tanto di rispetto, ma per loro il rispetto è
coprire di contumelie chi scrive per mestiere, fidando sul fatto che,
tanto, non risponderà mai (salvo fare la vittima quando viene
rimesso al suo posto, magari dopo giorni di oscenità). Sesto
controsenso: ma che pretendi, hanno quasi 80 anni, arrivaci tu. Sì,
ma qui la questione non è di arrivarci io, è che mi si dà addosso
per aver detto quello che chi mi dà addosso ammette: io non ho
scritto niente di meno e niente di più, salvo che il salvarsi in
corner, “Ah, ma Keith non ha mai saputo suonare” è una
cialtronata sconfortante: potevate dirlo prima, però non lo avete
mai detto perché non è vero. Ossia: ciascuno, si capisce, agisce
all'interno dei propri limiti così come dei propri punti di forza: è
proprio quando quei punti di forza vengono meno, quando i limiti
vengono travolti, che chi ha il dovere di notarlo non può più
sottrarsi. E chi si sottrae, a maggior ragione se in fama di
giornalista, beh, non è più un giornalista (e non mi interessa
stabilire cosa sia). Settimo controsenso, che tengo per ultimo per
quanto è straordinario. Quelli che mi accusano d'aver inventato,
altrove si lamentano regolarmente di non aver potuto sentire niente
perché lontanissimi dal palco, ostruiti persino dai maxischermi,
storditi dai disagi, la confusione eccetera. Allora, chi ha ascoltato
cosa a Lucca? Se uno sente, o risente, le registrazioni, si accorge
che ho ragione io. Nessuna questione su questo. Se poi qualche
pover'anima, che scrive “Kiff”, si basa sui filmati posti in
commercio, da Hyde Park a Cuba, sappia, tenerello, che quei filmati
sono bellamente inaffidabili, perché riveduti e corretti mille
volte. L'assolo di Richards su “Out of Control” in “Havana
Moon” è disastroso, ma nel film è diventato impeccabile. Un dottore che
dice a un malato terminale di star tranquillo, che ha solo il
raffreddore, è un pessimo dottore; allo stesso modo, è un pessimo
giornalista uno che riedita l'accaduto, per non mettersi nei guai o
per far piacere a chi legge. Conclusione: laddove le mancanze della
logica mi affascinano, così come mi attrae il brutto nella sua
disperata vitalità, di tutte queste maledizioni, insulti, attacchi,
presi uno per uno e tutti insieme, non me ne frega manco un po'. Non
lo dico per convincere nessuno, è proprio così, non posso farci
niente, sarò autistico, cinico, insensibile, “forse non sarò
umano”, come dice Babbo di Bordo ma è inutile che io finga una
considerazione che non provo, neppure lontanamente. Voglio dire, fa
parte del lavoro, io critico, dunque mi espongo alle critiche: se
sono decenti, ma non lo sono quasi mai, tanto meglio, se invece
provengono da una porcilaia, come di regola, non è cosa che può
coinvolgermi, a qualsiasi livello. Anche perché, ne ho accennato di
recente, capita nella vita di avere lutti, drammi, emergenze e
figuriamoci se uno può perdere tempo dietro agli ossessi che vivono
per un poster. Ergo, per me questi finiscono di esistere un istante
dopo che hanno cominciato: è il fanatico collettivo, ad essere interessante. Quello che mi proietta
addosso la sua fame di fama e non sa che io ne faccio tranquillamente
a meno, perché centomila clic non hanno mai costruito né demolito una
reputazione.
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