Adesso che la mia vita è un pendolo tra la routine e l'ospedale, sento più forte il richiamo di ore inaccessibili, da sprecare soavemente. Adesso che di tempo non ne ho, come ho sete di quella normalità che rilassa, che conforta. Mi piacerebbe perdere
tempo seduto a un tavolino, profumo di caffè che esce dal bar e
macchine che mi sfiorano, separato dalla loro fretta appena da una
fragile siepe. Una bar come una volta, antico come un biciclo, non i caraibi di plastica che usano oggi. Mi piacerebbe avere la compagnia di un amico in mezzo
al frastuono, e raccontarci cose che il mondo ignora, come fossimo i
padroni della città che ruota intorno. E ridere e fumare e ordinare
un altro caffè e poi, visto che ora s'è fatta, passare
all'aperitivo. Consumandoci ancora di pettegolezzi meschini.
Guardando le ragazze che neanche ci vedono, che ci compatiscono tra
il divertito e l'infastidito. Mi piacerebbe passarci una domenica,
in questo limbo, e sentire d'essermela meritata. Sentirmi adulto e vecchio e
bimbo. Pieno di polvere d'esperienza che non so a cosa è servita. E
ascoltando una canzone che conosco bene venir fuori dalla radio,
pensare che non ho niente e tutto m'appartiene, anche i ricordi,
anche il futuro, anche il lampeggiare rosso di coda d'un aereo che
pare impattare una torre sullo sfondo mentre il tramonto si rompe e
non è più giorno, non è ancora sera, e tutto questo è mio, tutto
mi appartiene in questo presente sospeso che per oggi s'è appeso
qui, a questa tovaglietta circolare, centro di una minuscola galassia
che divido con un amico e non ne abbiamo ancora abbastanza di
rievocare vecchi numeri del nostro avanspettacolo, di sentirci
affettuosamente antichi come questo bar, come le sue scomode seggiole di ferro, di agitare uno per uno i nostri fantasmi
mentre le canzoni non ci danno tregua. E di colpo guardarci l'uno
nelle rughe dell'altro, increduli, divertiti per non essere
spaventati, e andare avanti a parlare, a trovar cose da dire, a
stordirci coi ricordi di domani, tutto pur di non alzarci e tornare
alla vita che ci inghiotte. Un altro aperitivo per noi, sovrani di un
tempo perso, mai così rubato, mai così strappato. Finalmente la
sera scende come una coperta d'aria sulla città che si cambia
d'abito, le sue perline fatte di fanali, di lampioni, di faretti di
vetrine s'accendono tutte insieme e il tempo ha come un fremito. E
arrivare a vedersi come i nostri padri, purtroppo o finalmente, padri
di noi stessi, indolenti e lazzaroni su un tavolino da caffè, a
perdita di tempo, a perdita di noi.
Commenti
Posta un commento