Ho aspettato un po' di tempo, ne parlo
ora. Nazareno Giusti, artista di grande talento e intensità, si è
preso un'altra responsabilità non facile: dopo le retrospettive su
Palatucci, Guareschi, Ligabue (il pittore), qualche mese fa si è
cimentato col dramma politico e civile di Guido Rossa, il
sindacalista ammazzato dalle Brigate Rosse per logiche mafiose:
scoperto all'Italsider di Genova un collega-infiltrato che diffondeva
volantini brigatisti, non aveva esitato a denunciarlo, andando
incontro al suo destino fatto di isolamento prima, quindi di odio,
infine di morte. Rossa è uno di quegli eroi civili che al terrorismo
non piacevano perché dimostravano che il terrorismo era battibile
con l'integrità, che c'era un'altra sinistra del tutto estranea alle
logiche mafiose e sanguinarie della lotta armata. Un esempio che
andava stroncato, e che fu stroncato. Le tavole di Nazareno, virate
in tutti i toni di un grigio gelido, disperato, ne ricostruiscono il
dramma umano – l'operaio Rossa, l'alpinista Rossa sa che il suo
destino è segnato, sa pure che lo ammazzeranno da morto, ucciso come
soggetto, come operaio, come individuo sociale: quando arrivano le
pallottole che dovrebbero gambizzarlo e invece lo “giustiziano”,
è già un reietto, anche nella fabbrica. Non c'è un colore in
queste tavole di piombo, dove l'autore estremizza il minimalismo dei
caratteri, dei personaggi crocifissi al loro fato con pochi tratti
essenziali: ne deriva una stupefacente carica drammatica, un pathos
che, già alto dall'inizio, non fa che crescere, tavola dopo tavola,
fino a esplodere nel dramma conclusivo. È una tragedia in dipinti,
questa di Giusti, che alterna i disegni con la riproduzione di
documenti storici, le stesse didascalie hanno il ruolo, il valore di
fonti certificate (e c'è una ricca appendice testimoniale e
documentale a corredo, in prefazione come in appendice al lavoro).
Al di là delle suggestive, evocative
tavole, talmente intense da risultare a volte quasi insostenibili, a
fare la differenza è anche l'equilibrio, l'onestà intellettuale
dell'autore, nella cui ricostruzione tutto è affidato alla storia, e
niente cede a consolazioni ideologiche di sorta. Qualcosa che lo
distingue radicalmente, per esempio, dalle produzioni militanti di
Beccogiallo, che sono in realtà propaganda in forma di graphic
novel. Ma con Giusti - che qui pubblica per Round Robin - gli alibi non funzionano: egli vuole capire
prima di ritrarre, quando comincia a dipingere è perché è entrato
in una temperie al massimo grado possibile di onestà e di
compenetrazione. È giovane, raffigura storie e storia che non ha
potuto vivere; ma lo scrupolo lo soccorre, rendendolo più
attendibile di tanti saggi interessati. Il talento del disegnatore,
poi, s'incarica di raggiungere l'effetto drammatico inseguito. È
un'opera importante, un'altra, capace di scavare nel tormento di
un'epoca e, parallelamente, nel tormento del singolo uomo, eroe suo
malgrado, eroe umile e forte che accetta fino in fondo le conseguenze
del suo non potersi sottrarre alla propria umanità. Si capisce qui
l'operaio, l'alpinista Guido Rossa come non mai, per quelle
fotografie di quieta angoscia in tutti i colori del grigio che lo
crocifiggono ad un gesto, a un segno sul volto, all'ineluttabilità
di una scelta, all'adozione del dolore maturata senza parole, a una
tragedia abbracciata senza tragediare. Ogni tavola è da capire, da
assorbire. Per questo, “Guido Rossa – un operaio contro le BR”
è opera che non ti lascia, che torna come ritorna il cordoglio, la
domanda mai risolta, la paura. Come qualcosa che riprendi in mano, la
ricominci, ti ci immergi, ne esci ogni volta un po' più scosso.
(dal Faro n. 28)
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