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UN VOLO ALL'INGIU'


Io questo mio Paese non lo capisco più, mi sembra sempre più sospeso tra artificio e bestialità, lacerato in un futuro che non arriva, o arriva a stento, e un passato che non si sa neppure più ricordare. Da una parte quelli artefatti, costruiti, insopportabili nei loro atteggiamenti, negli snobismi provinciali, dall'altra chi si compiace della propria rozzezza, la maleducazione tronfia, sudicia. A volte, spesso, le due facce di una medaglia senza valore finiscono per coincidere. Ed io non riesco ad orientarmi, sospetto di farne parte, di appartenere anch'io a una genia che mi fa orrore: nondimeno mi fa orrore, e vivo non vivendo il Paese che anch'io sono, che condivido. Oggi mi veniva in mente tutto questo, fermo al semaforo: passavano le auto, ho fatto in tempo a vedere una giovane donna che guidava, sola, le gambe scoperte da una vestina leggera, corta, il portachiavi che batteva leggermente su un ginocchio, era la visione di una modernità eterna e consumata, se si vuole, ma sempre buona: poteva essere mia madre, mia figlia, quella sconosciuta, la sua posa di guidatrice testimoniava dell'indipendenza, del dinamismo femminile, chissà dove andava, da chi andava, verso quali impegni, appuntamenti, rogne, di certo più indaffarata di me. In quella sua classicità moderna, ho ritrovato per il tempo di un bagliore un tempo perenne che non esiste più, almeno io non l'ho più, perché non più lo percepisco. Impossibile anche ragionare, obiettare, arginare l'alluvione di menzogne e di scelleratezze, di spazzatura stupida o miserabile. Leggevo la notte scorsa un romanzo ambientato in Botswana, la giovane segretaria in procinto di sposare un facoltoso commerciante prende l'autobus forse per l'ultima volta e lo sa e le si stringe il cuore perché quella gente polverosa, amichevole e stanca, dalle scarpe sformate, dai vestiti di stracci, “è la mia gente, la mia gente”. Ecco, io non riesco più a guardare la gente e a sentirla mia; la detesto, poi mi detesto siccome la detesto, penso che sto facendo i conti con l'età che ho, e che non è verde, e che le mie due anime mi stanno abbandonando, quella più riflessiva, l'altra più avventurosa, ho solo voglia, e bisogno, e nostalgia, di piccole vecchie cose calde, rituali caldi, di protezione e rifugio, perché mi sento fragile, indifeso, vulnerabile come mai prima, e allora mi cade addosso una profonda stanchezza che non ha bisogno di vacanze, di ferie ma forse di abbandonare tutto, definitivamente, irreversibilmente, come succede a chi non è più quello di prima e non è più quello di adesso e si chiede cosa vada farneticando. Un volo all'ingiù e via.

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