35 anni fa la felicità
pazza. Provenivo da una settimana a Lido di Spina, nel Ferrarese, coi
compagni, tutti i rimandati a settembre per sfregio contro la vita
insieme al mare e fu una settimana assurda come usavamo allora.
Giovani, stupidi e pericolosi, se non altro per noi stessi. Il genere
di situazione per cui se uno di notte rubava un pattino e non
tornava, pensavamo che potesse anche essere affogato, ma così, con
fatalismo. Abituati a farci cacciare perché osceni, ribelli per
finta ma fino a un certo punto. Dio, se ci penso non posso
riconoscermi, è come se fossi il padre di me stesso, di quel figlio
imbecille e insicuro, che inanellava cazzate, sigarette, bottiglie
credendo quella fosse la vita. La prima fase del Mondiale spagnolo la
vedemmo lì, almeno dove ci tolleravano. Non che mi ricordi molto:
ciondolavo sempre. Un pomeriggio mi addormentai, distrutto, eravamo
appena arrivati e già stavo in debito di sonno e crollai, bianco di
città sotto il sole, mi svegliarono a calci la sera e non potevo
guardarmi, m'ero annerito istantaneamente, come un carboncino. Mi ci
vollero alcuni giorni, tornato a Milano, per riprendermi e poi, quel
5 luglio, di nuovo al mare, la follia: un giocatore fallito
rinasceva, una squadra di perdenti saliva a conquistare il mondo. Non
c'era nessuno a Casabianca, desolazione perenne, unici in giro i trans brasiliani, che piangevano, ma io non volevo
nessuno, camminavo dopo la partita tutto indolenzito, come avessi
giocato anch'io, due ore di spasmi, di muscoli contratti mi
uccidevano. Poi tornai a rivivere tutto, la Rai rimandava subito
quell'evento illogico, meraviglioso. Adesso, una vita dopo, padre che
non fui mai, padre di quel figlio sensibile e balordo che ero allora,
sono ancora qui a parlarne ma un altro 35 non ce l'ho.
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