Non ho mai creduto
nell'antistato perché non credo nello Stato, che sovversivi ed
eversivi vogliono semplicemente penetrare, occupare. Non credo più
in alcuna forma di Stato, perché non mi ha mai tutelato e sempre più
approfitta di me. Non credo alla sua pretesa di spremermi come un
limone per pareggiare le disuguglianze, perché il più disuguale, il
più abbandonato sono io. Non credo alla sua logica dell'inclusione
perché dei migranti mi sono rotto i coglioni, visto che vengono
mantenuti per restare passivi grazie al mio lavoro. Non credo alla
forza legittima, perché di legittimo la forza dello Stato non ha
niente; non mi ha mai difeso, non mi tutela, mi invita in ogni
occasione e in tutti i sensi a farmi giustizia da solo, salvo farmi
la predica perché sono laureato, ho avuto il privilegio di studiare.
Non credo allo Stato perché si è dilatato fino alle mie parole, ai
miei pensieri e non mi lascia più alcuna facoltà. Anzi, da quando
si è consegnato ad una superpotere che non c'è, come l'Europa
Unita, ma dirige ogni cosa, io ho finito di scegliere, di vivere. Non
credo alla Costituzione, perché è stata fatta da vecchi che avevano
in mente gli equilibri di una politica che usciva da una dittatura,
non certo quelli di un Paese destinato a cambiare; nessun articolo
funziona più, vigono solo pretese incompatibili con una libertà
pacifica: come quello di versare tutto quello che possiedo in tributi
e prelievi in nome e per conto delle nomenklature, dei centri di
potere che si spartiscono la gestione del cosiddetto bene,
dell'attenzione sociale. Non credo più ai diritto al lavoro, sul
quale sarebbe fondata questa Repubblica costituzionale, perché al
punto in cui siamo conviene non lavorare affatto: se uno lavora,
spende di suo, poi non viene pagato e inoltre deve pagare
anticipatamente quella tassa esoterica che si chiama IVA (e della
quale l'Europa di vetro presto imporrà l'aumento). Non credo più a
perbenismi di sorta, sia di stampo borghese o comunista, perché
essere per bene significa essere docile, farsi violentare da uno
Stato che non ha scrupoli e non ha pietà. Non credo all'etica,
perché nessuno offre più esempi concreti. Non credo alla morale,
perché non mi hanno lasciato neppure quella, è un sistema di falsi
valori imposti dalle sentinelle del pensiero. Non credo ai miei
connazionali, che non hanno alcuna decenza, che sono ladri e come i
ladri imbrogliano, si lamentano, non si assumono alcuna
responsabilità, e non credo agli stranieri, che vengono non per
essere connazionali, non per difendere uno Stato che mai sentiranno
come proprio, ma solo per rivendicare, pesare, difendere le loro
costumanze tribali, antisociali, incompatibili con il sistema di
diritti nel quale mi hanno fatto credere di essere cresciuto. Non
credo alla patria, perché è sempre stata una mistificazione per
coprire le peggiori nefandezze. Non credo al sangue, al suolo, alla
razza perché mi vergogno di suddividere l'umanità in queste
categorie fittizie. Non credo alle integrazioni, ai
multiculturalismi, perché non sono possibili, il singolo si integra,
non la massa, la massa pretende, occupa, invade e non ha alcun senso
di gratitudine. Non credo ai bei tempi andati, perché non ci sono
mai stati; né al buon senso popolare, perché è sempre stato
orrendo, truce, feroce, e cieco. Non credo alla rispettabilità,
perché non c'è più niente da rispettare. Non credo al senso del
dovere, perché è un'impostura. Non credo ai diritti, perché sono
miraggi (almeno per me, che ho avuto la sventura di nascere e di
crescere in questa isola di follia). Non credo alla libertà, perché
me l'hanno divorata pezzo a pezzo. Non credo più a niente, ma
soprattutto non voglio più sentire parlare di chi ha bisogno, va
aiutato, va sostenuto, di muri, di ponti, di impegno, di solidarietà,
di equità, di eguaglianza, di politica, di uno Stato che altro non
mi ha dato se non l'inevitabilità di una fuga.
Vero,
RispondiEliminastruggente e lacerante!