Torna il momento di
tornare al mare e come ogni volta è un momento a tradimento: dove
sta l'asciugamano? Il costume da bagno? Guarda qua, come sono
ingrassato, non ci sto più dentro, che vergogna. Come non fosse
passato un anno, mi riscopro a mettere insieme vecchi gesti, la
custodia del kindle, per la sabbia, il marsupio per le carabattole,
le infradito addormentate. In bicicletta, guadagnamo la spiaggia
libera: qualche famiglia, ragazzotti con l'inevitabile pallone, molte
ragazzine che ridono, si atteggiano. Non così tanta gente, almeno
qui dove siamo. Di fare il bagno non è il caso, acqua fredda ancora,
poi il cielo s'è velato, coperto addirittura; azzardo solo fino alle
caviglie, me ne resto impalato, vicino ho una bambinetta che grufola
nella sabbia come un porcellino ma non mi strappa tenerezza, mi
riscopro di un anno più vicino al nonno Sergio, quello che “Diu
can, tuti 'sti putlet”. Mi sento a disagio nel mio corpo, oscillo
tra l'indifferenza e la stizza, qui dovrei perdere minimo 10 chili.
Dopo dieci minuti mi sono già stufato. Vado e vengo sul bagnasciuga
mentre mia moglie indugia nella lettura e, non so perché, mi sembra
squallido questo pomeriggio. Forse perché la spiaggia libera è
squallida e stare stesi sulla nuda terra fa male alle ossa alla mia
età. Forse perché, come sempre, siamo soli. Forse perché questo
mare sono cinquant'anni che lo consumo. Ma è la prima volta che non
mi sento felice ritornando a lui, che non ne percepisco
l'accoglienza. Allora abbiamo deciso di camminare, un paio di
chilometri per raggiungere la sera, ma al ritorno ero spossato. Non
voglio, non voglio quest'anno sprecare un'estate in spiaggia,
preferirò bagni lampo e poi via, al massimo una sgambata sulla riva,
ma non più quell'ansimante far niente, quel sudore di noia; capisco
che un'altra stagione della mia vita è andata, ed è inutile
trattenerla. La mia insofferenza, la mia inquietudine non guariscono
e neppure più il mare può asciugarle. Qualcosa soffre dentro me. Il
sole schermato mi ammala dentro, mi spegne, mi fa capire che non è
un mio talento quello di godermi il tempo, le sue scansioni, il
conforto di una domenica al mare per poi rientrare alla base,
perdermi nei piccoli lussi della mezza età, la doccia, la cena, il
divano, il cruciverba. Ho sempre invidiato chi sa mettersi a proprio
agio nella vita, io non ho mai imparato: più scorre, anzi, più la
spendo sulle spine, sui vetri, forse solo ai ricchi è dato di vivere
come ha senso vivere, forse non c'entra niente. Oggi ho passato la
mia prima domenica al mare: invidiatemi, se volete, ma io mi sentivo
morto.
A me è successo in questi giorni col lago. Volevo tuffarmi, riposare dopo 6 giorni di lavoro, leggere, trovare un modo per sciogliere l'angoscia che mi prende alla gola tutti i giorni e invece niente, ho bagnato i piedi e me ne sono andato. Ho camminato a lungo e poi sono tornato a casa. Mi sentivo morto anche io.
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