Impressioni vaghe di un
tardo pomeriggio di inizio autunno. Come sospettato, la siccità
della pianura padana era una bufala e, come ampiamente previsto, dopo
tre o quattro giorni di caldo relativo si è messo a piovere e tutto
è tornato a posto, anzi in Trentino perfino nevica, fatto questo sì
curioso per la fine di giugno; del tutto regolare, invece, la
sconvolgente temperatura estiva intorno ai 30 gradi in piena estate
(lasciamo stare le minchiate percepite, frutto del nostro viziarci
termico). Per chi volesse approfondire, segnalo uno dei prossimi
numeri del Faro in cui dimostro, fonti e dati alla mano, che nella
atroce ondata di caldo africano non c'era niente di atroce e niente
di africano. Questo significa che, come d'abitudine, i telegiornali
hanno dato i numeri, ormai non c'è neanche più da maledirli,
tutt'al più da compatirli, Padre perdonali perché non sanno cosa
dicono, cioè disinformano senza saperlo, cioè non sanno fare il
loro mestiere, cioè sono dei raccomandati di merda. Sotto una
pioggerella più ottobrina che mai, andiamo dunque al supermercato e
qui mi accordo di odiare un paio di mocciosi sui sedici anni, chignon
e tatuaggi d'ordinanza, i quali pretendono alcoolici che il gestore
nega loro: il sindaco, in occasione della sagra delle pro loco, ha
fatto la cosa giusta, cioè ha vietato vino, birre e liquori, e
quelli non ci stanno; li malsopporto, dicevo, poi mi ricordo che alla
loro età razziavamo gli stessi supermercati per fare le gare di
sbronze, diventando pericolosi per noi e per gli altri, e allora mi
taccio perfino nei pensieri. Il blocco degli alcoolici anche per una
sagra è solo una delle misure cui gli amministratori locali sono
sempre più obbligati: per un concerto, ad esempio, sono sorti certi
obblighi spaventosi, che segnano un nuovo trionfo della burocrazia
paralizzante: di fatto, è diventato pressoché impossibile
organizzarli, specie nei centri piccoli, con pochi mezzi. Anche per
questa strada i terroristi islamici hanno già vinto, anche così si
perde libertà e voglia di vivere, altro che risposta eroica dei
ragazzini al cospetto di Ariana Grande. Sulla soglia del
supermercatino c'è l'immancabile africano che saluta tutti quelli
che entrano aspettando l'elemosina; provvede, ed è uno screenshot
della globalizzazione, una cinesina bionda ossigenata, appartiene a
una tribù di almeno una dozzina di connazionali e mentre la osservo
ricordo che fino a quarant'anni fa, anche meno, la Cina era perfino
più povera dell'Africa (ancora nel 1998 ho visto, e raccontato,
paesaggi sociali che mai avrei creduto possibili). Poi Deng ha fatto
la svolta, ha mollato il marxismo economico per il mercato, e questi
sono i risultati. L'Africa invece resta schiava delle faide tribali,
del vittimismo, dell'inerzia. Sarà per questo che dei cinesi non si
dice mai che “sono troppi”, pur essendo la popolazione più
massiccia al punto da avere occupato interi quartieri e perfino
città? Se questo è vero, e lo è, già basta di per sé a escludere
il “razzismoexenofobia”, tutto d'un fiato, che per anni è
servito alla sinistra cattocomunista e irresponsabile a eludere un
problema diventato epocale e destinato a radicarsi come tragedia
umanitaria, visto che le faccione di tolla come la Merkel non fanno
una piega. Anzi fanno sempre pesare il loro milioni di profughi
siriani accolti, dimenticando di specificare che erano quasi tutti
ingressi di classe A, mentre gli ultimi dei disperati li raccoglie la
solita Italia. Altro che trasformarli in risorse, le risorse sono
finite, per loro, per noi, per tutti.
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