L'Ordine della Lombardia
ha segato Filippo Facci per due mesi e tutti sono contenti:
islamofobo, scorretto, sopra le righe, e giù sorrisini e twittini.
Bastasse andare sopra le righe, dovrebbero venire segati a vita tanti
cristianofobi che “amano” l'Islam non per quello che rappresenta
ma perché lo pongono in antitesi distruttiva alle religioni
occidentali, cioè capitaliste, cioè le disuguaglianze, cioè il
riscaldamento globale, cioè merda. Facci usa un linguaggio
coscientemente aggressivo, lo fa in funzione del contenuto, ma non
usa la viltà spicciola di nascondersi dietro una satira millantata;
e per questo si guadagna una condanna senza presupposti, le cui
motivazioni prescindono totalmente da una analisi tecnica, da un
approccio giornalistico che palesemente si ignora, laddove si
stagliano come una censura impressionista, figlia delle sensazioni e
dei preconcetti. Scritta male, anche, al punto da indurre a
domandarsi perché mai chi fa il nostro mestiere debba venire
giudicato da legali, astronauti, preti, benefattori, filantropi, poeti, popstar e non da suoi simili.
Trattasi, va ribadito, di censura selettiva e qui casca l'asino: se
un islamico si ritiene offeso dai rilievi sui tappeti delle moschee
che puzzano di piedi, vivendo in Italia ha tutti gli strumenti per
ricorrere secondo le leggi italiane, cioè spiccare una querela
anziché una fatwa, seguendo appunto le norme del sistema democratico
invece della sharia (o, nei casi più accesi, la jihad). Invece si
tipizza l'Islam in quanto tale, lo si assolutizza e lo si rende
la-religione-che-non-si-può-nominare. L'unica. Ma anche la più
aggressiva e, perciò stesso, preoccupante.
Qui ricasca l'asino,
perché io, da giornalista, da cittadino e da privato ometto della
strada, vorrei essere libero - e lo sono sempre meno, e non lo sono
più - di dire che sempre più spesso
la-religione-che-non-si-può-nominare mi preoccupa, insomma sono
islamofobo, che è tutt'altra cosa dal razzismo: non li considero
inferiori, li considero pericolosi, quindi, in un certo senso,
perfino superiori a me. Vorrei poter dire, ma non posso più, che
nell'islamico di oggi io sempre meno riconosco l'amico di famiglia
Mustafà, che negli anni '80 era di casa al punto da chiederci una
somma per tamponare una italianissima “sola”, e che poi seppe,
volle risarcirci e a nulla valsero le nostre imbarazzate proteste, ma
lascia stare, erano due soldi: lui invece si presentò con molta più
merce, e più bella, rispetto al valore che umilmente ci aveva chiesto e non
sapevamo come fare, perché ad accettarla ci pareva di approfittarci,
a rifiutarla lo avremmo mortalmente offeso. Scegliemmo il male minore
e a distanza di 30 anni ancora ne scrivo commosso, e, no, non è la
solita solfa dell'”ho amici gay, ma...” e non è neanche il
fatidico benaltrismo strategico, signora mia: qui si resta al punto, perché,
eccolo il punto, io ho qualche dubbio che oggi il nostro caro Mustafà
arriverebbe alla confidenza di chiederci un aiuto; sarebbe
condizionato anche lui da questa integrazione che funzionava molto di
più quando se ne parlava molto meno, e che oggi viene minata
anzitutto dalle pressioni di un fondamentalismo che condiziona,
quando non contagia, anche la parte autenticamente moderata, anche se
nessuno vuole sentirselo dire.
Mi sento islamofobo
perché intorno a me vedo sempre più gente incazzata, che “non
avrà il mio odio” ma mi gratifica del suo, che pretende per il
solo fatto di essere giunta fin qui, caso mai successo nella storia
millenaria delle emigrazioni e delle accoglienze. E allora, schiodare
il Crocifisso dai muri perché disturba, perché “è indegno”:
accontentati, e cancellare il presepio dal Natale, perché non ci
piace, perché “fa schifo”: accontentati, eviscerare i panini
dalla mortadella, perché è una bestemmia, perché noi non lo
accettiamo neppure per i vostri figli: accontentati, con tante scuse.
In compenso, mai sollevare rilievo alcuno sulla
religione-che-non-si-può-nominare, altrimenti scatta il bando negli
Ordini regionali e il banning su Facebook, e quindi la vergogna e quinci gogna. Pertanto io vorrei, per esempio, dire che non mi
convince mica tanto il sindaco di Londra il quale davanti a due
attentati nel giro di poche ore scantona, minimizza, cerca di salvare
le capre del ruolo istituzionale coi cavoli della sua fede: ma non
posso farlo, essendo egli un credente nella
religione-che-non-si-può-nominare. Non posso neanche dire che non
capisco o meglio non accetto la decisione di autorizzare un corteo di
Hezbollah in Londra, dato che tutti sappiamo cosa significhi e cosa
implichi quella sigla. Ma, appunto, non sono più libero di farlo,
cioè mi tarpano le parole, che poi sono le mie ali dell'analisi e
della critica, mi impediscono di fare il mio lavoro. Ha perfettamente
ragione Facci quando dice che quello che capita a lui non è un caso
personale ma un paradigma: bloccane uno per educare tutti gli altri,
che peraltro non hanno nessun bisogno di essere educati perché si
rieducano benissimo da soli e così non li sfiora il ridicolo
involontario di un tg che monta senza soluzione di continuità il
servizio sulla Merkel dal papa con convergenza sull'ideale “più
ponti” e di seguito la notizia di ulteriori 2500 migranti sbarcati
a stento sulle coste sicule.
Io vorrei essere libero
di ragionare in termini di persone, di singoli Mustafà, ma non me lo
fanno più fare perché hanno assolutizzato, santificato, blindato e
immunizzato l'unica religione-che-non-si-può-nominare, e che,
incidentalmente, è anche quella più refrattaria, per diversi
aspetti, a quella pacifica convivenza che si chiama integrazione;
vorrei essere libero di dubitare, come Facci, di ogni religione come
sistema pur riconoscendo il portato di una costruzione di credenze
interna, che ha permeato la cultura in cui mi muovo, quanto a dire
libero di distinguere, di ragionare, di contestualizzare e anche, se
mi pare, di provocare, beninteso assumendomi le conseguenze delle mie
espressioni: niente da fare, scatta la fucilazione a priori, e nessun
paladino della democrazia si scompone (anzi, in molti si danno di
gomito). In compenso, quando qualche imam televisivo o rappresentante
delle comunità islamiche da talk show sbrocca e mi ringhia che io
cattolico occidentale sono una merda e farò una brutta fine, nessuno
lo richiama all'ordine, minuscolo, ha ragione, ha ragione, bisogna
capire, siamo tutti conquistadores del 1600.
Ma, caro Ordine,
maiuscolo, molte altre sono le faccende sulle quali aprire gli occhi
e lo sai; sai che il sistema che rappresenti è marcio di pastette,
di markette, di lottizzazioni, di irregolarità e di veri e propri
illeciti, di generose truffe, di malacarne che se la tirano perfino
da coscienze civili, e sociali, e social. Non hai bisogno di prove,
di fonti, ci sei dentro fino al collo, ma, se proprio insisti, te ne
offro un paio su un piatto d'argento, insieme alla testa di Facci:
all'ultimo Festival di Sanremo, la sala stampa era stracolma di
giornalisti a proprie spese, e tu Ordine lo sapevi ma ti stava
benissimo perché la Carta di Firenze è buona per pulirsi il culo; i
suddetti, peraltro, non meritavano altro che disprezzo poiché
facevano la fila per accreditarsi da Maria de Filippi, cioè una che
avrebbero dovuto criticare: invece pietivano gioiosamente udienza,
ospitate ai suoi programmi, raccomandazioni, c'era chi, senz'ombra
d'ironia, le ha proposto la presidenza del Consiglio, chi “il Nobel
per la donna”, che non si capisce che cazzo volesse dire ma suonava
politicamente correttissimo; c'era anche chi si è picchiato per il
portachiavi col pupazzo di Carlo Conti, e chi ha applaudito a scena
aperta quando una apprendista giornalista di un network privato è scesa a mostrare lo spacco di un vestito d'alta sartoria
debitamente firmato. Tutta roba proibita dagli inutili tomi
deontologici. Però sulla puzza di piedi non si transige, sulla fobia
non si fanno prigionieri, perché il mondo ormai è una proiezione di
Facebook, democrazia sì, libera circolazione delle idee sì ma non fate
gli stronzi che ci credono, non cacate troppo il cazzo, imparate dove
tira il vento che è meglio per voi.
Commenti
Posta un commento