Pochi giorni fa, 18
aprile, faceva 7 gradi, maledetto riscaldamento globale, Trump sia
dannato. Sono uscito tardi, che già imbruniva, sotto una pioggia
appuntita a folate ma non mi ha dato fastidio, mi è sempre piaciuta
la pioggia, il suo ticchettio caldo è la voce della malinconia, un
velo sul mondo imperfetto. Lava i pensieri quel pianto dal cielo,
rende tutto più vero, camminavo nelle pozzanghere ed era come certi
pomeriggi di una vita fa, quando uscivo a ossigenarmi dopo un'apnea
di compiti e mi piaceva restarci sotto, a capo scoperto, adesso non
mi è più dato ma non ne faccio un dramma, anzi mi osservo con
tenerezza, quasi con simpatia, la mia è un'età da ombrello in una
mente incredula. Camminavo evitando i rivoli, sfioravo le cascatelle
in ciglio di strada, eludevo le pisciate delle grondaie, il vento mi
sbarellava, m'insidiava il cappello, l'assurdo di uscire infagottati
dopo un mese di primavera. Impacciato da una borsa di spesa, dalle
manovre per tener la barra, non vedevo quasi dove andavo, da un
autobus è scesa una ragazza carina e i nostri parapioggia hanno
cozzato e ci siamo sorrisi. Sudavo e avevo freddo. Per aria, gli
scrosci disegnavano macchie sui palazzi, ombre danzanti addosso ai
passi. Lentamente, senza fretta ho riguadagnato casa, la mia casa,
che speravo mi aprisse una nuova vita e invece tanti triboli mi dà
ancora, non per colpa sua. Sono rientrato e c'era profumo di cena.
Come un tempo mi sono sentito al sicuro. Un po' fragile un po'
contento dopo quel giretto sotto la pioggia dove mi tenevo compagnia
e per una volta non mi sono annoiato, mi son trovato bene.
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