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QUELLE SCARPINATE


Sanremo per me è durato un istante: sono lì che arrivo, scendo dal treno, chiedo informazioni sulla mia destinazione, e un attimo dopo rieccomi sul treno in direzione opposta. In mezzo, una settimana in apnea. Tutto quello che ho fatto è stato lavorare, ero lì per quello e quello ho fatto. Scrivevo sempre, mentre scrivevo, mentre giravo, mentre mangiavo, mentre dormivo. O meglio, non dormivo: pensavo alle cose che avevo appena visto, scoperto, che restavano da dire, e mentalmente aggiungevo passaggi, argomenti, situazioni, ed altre ne scartavo: un pezzo, spesso, ha buona fortuna per quello che si risparmia più che per quanto dice, e così tutto il mio lavoro di una settimana è stato a mettere e a togliere. Dico la verità: non ho mai lavorato così bene, voglio dire nelle condizioni ideali. La testata che mi ha mandato al Festival, Lettera43, mi ha fornito una ed una sola indicazione: vai. Mi ha lasciato totale libertà e fiducia, proprio una condizione da inviato, che spero di avere ripagato; ce l'ho messa tutta perché un ruolo così è speciale, e volevo giocarmelo fino in fondo. Per questo sono stato sempre solo, completamente da solo. Un asceta. Uno con l'Asperger. Concentrato sulla scrittura, sul racconto di quel mondo strano e prevedibile in modo addirittura feroce: partendo, temevo una sola cosa, le interferenze, le distrazioni, e ho fatto in modo di corazzarmi. Giravo, giravo, mi mescolavo, mi inzuppavo in ogni situazione, come un biscotto, come una spugna, e alla fine morivo dalla voglia di raccontare tutto. Di raccontarvi tutto, perché è vero che a starci dentro, in una bolla del genere, è tutto diverso; questione di percepire, di partecipare, io che vincesse il sopravvalutato Gabbani a un certo punto l'avevo capito dal suo atteggiamento, vagamente compatente, perfino strafottente. Il tanto pompato Mika è una nullità. Nessuno aveva carisma. Non ho tenuto niente per me, non ho retroscena da custodire, l'unica avventura è stata quella del pass, e l'ho puntualmente raccontata, perché era splendida per illustrare la cifra di un Festival isterico, che nella sua finta allegria conviveva con l'incubo degli attentati. Fra le cose che non avrei voluto vedere, la cifra davvero miserabile di una stampa in bilico tra infantilismo e servilismo, diciamo una piaggeria da bambini. Con qualche eccezione, giocoforza, ma da lanternino: ogni tanto mi incrociavo con Marinella, al bar o in ascensore, "che te ne pare Marinè?", "Canzoni di merda, interpreti di merda!" e mi dava un bacio, lei è una regina. Molti, troppi erano lì a svernare, a far coreografia o a tentare pubbliche relazioni: mi hanno dato fastidio i maschioni barbuti di alcuni siti pettegoli tenersi per mano e intonare i successi di Giorgia o Ricky Martin, perché erano lì per farsi notare, ed erano poi gli stessi ai quali casualmente sfuggiva anzitempo la notizia su questo o quel premio, oggetto di embargo in sala stampa fino a definitiva proclamazione. Il che dava modo ad alcuni di polemizzare e quelli, imbarazzati, "Un errore, solo un errore", poi ricominciavano a prendersi per mano e cantare Tiziano o Michele Bravi. Dei casi più ignobili di piaggeria ho informato, di quelli di totale incompetenza no: che ci faceva lì in mezzo certa gente del tutto digiuna di ogni attitudine? Il gigante di colore con l'anima pallida, Sylvestre, non sa modulare, perde tonalità nel registro grave, insomma un disastro, lo faccio notare alla non sconosciuta che mi siede nei paraggi e ricevo una risposta che mi stende: "Mah, che ne so, non è il mio genere" (aveva ragione, il suo genere è il gossip).
Ma quello che davvero porto dentro, sono le camminate notturne, al termine di ogni maratona in sala stampa, fino al mio alloggio. I pezzi, essendo Lettera43 quotidiano on line, uscivano subito, a ridosso della trasmissione, mentre ancora stavo per strada e credevo li avrebbero letti la mattina ma non ci ho messo molto a capire d'essermi sbagliato: fin dalla prima sera io camminavo nel vuoto, perché Sanremo durante il Festival è un'oasi babelica in un deserto e quando ascolti i tuoi passi nel buio rischi di perderti in qualche meditazione se non disperazione. Ma lo smarphone che avevo in tasca, e che fino a pochi minuti prima era servito da ufficio, prendeva a lampeggiare, ad agitarsi: erano i lettori, che già stavano leggendo, che si appassionavano, che commentavano; non smettevano, arrivato a casa crollavo sul letto ma il telefono non si calmava. La cosa è cresciuta notte dopo notte, e ogni giorno io prendevo più fiducia, perché capivo che sentirmi bene, lavorare bene portava a buoni risultati. E, alla fine, vivevo per raccontarvi tutto, avevo la precisa sensazione che ci fosse, dall'altra parte, chi aspettava i miei resoconti: ho cercato di parlare in modo serio di qualcosa di futile, ma che, l'ho detto più volte, meritava attenzione. E così sono riuscito, a quanto pare, a compromettere tanti miscredenti che il Festival di Sanremo lo avevano bandito dalla loro vita. E' curioso, ma in questa settimana io sono stato l'uomo più solo del mondo e solo non sono stato mai, neppure per un attimo. Qualche volta mi sono accorto di avere oltrepassato il mio cancello, perché non facevo che leggere e rispondere ai messaggi, e dovevo tornare un po' indietro.
Io non dimenticherò quelle scarpinate, perché la prima, lunedì sera, l'ho fatta per conto mio, tutte le altre con una scorta che non potevo vedere ma si faceva sentire. Sono sicuro che, avessi mai fatto brutti incontri, nessuno si sarebbe azzardato a toccarmi.

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