Ieri sera alle 11 la
Rai 3 ha mandato il programma "Il mio Sanremo" e c'era il
mio amico Simone Cristicchi il quale ha raccontato le sue esperienze
al festivalone che ha pure vinto, giusto dieci anni fa. Sentir
Cristicchi raccontare è seguirlo in una selva intricata di
percezioni, sensazioni, impressioni che si fanno ricordi, lui parte
dall'emozione e a quella ritorna: in mezzo, condensa una coscienza.
Mentre rievocava, coinvolgendosi ancora come fosse stato là, ha
accennato a un certo punto alla sua esperienza nei centri di igiene
mentale, che non si chiamano più "manicomi", dove accumulò
abbastanza traumi da partorire "Ti regalerò una rosa", la
canzone con cui nel 2007 trionfò da outsider (lo davano 30 a 1). Se
non ci fossi passato anche io, avrei sottovalutato quel lampo negli
occhi, colmo di troppe cose da dire, e forse anche da rinchiudere in
un brano. Ma non potevo non capire: e così, oggi gli dedico un
ricordo, frutto più o meno degli stessi trascorsi, risalente al mio
periodo di servizio civile a Capodarco, ahimé quasi 30 anni fa.
Albano
era un demente. O meglio, era la dimostrazione che nella vita è il
destino è tutto, che due possono nascere uguali, stessa madre
puttana a sfornar figli come gatti, stessa mente vacillante, stesso
fisico spaventoso, e finire uno in una comunità e l'altro su un
ring, uno a campare di poco e l'altro a sperperare 500 milioni di
dollari. Albano è stato uno dei primi che ho conosciuto nel mio
servizio civile a Capodarco. Tozzo, erculeo, sformato, asimmetrico in
tutto, dalla faccia belluina ma dalle espressioni di irresistibile
tenerezza e simpatia. Uno che sa, capisce di essere diverso, ma non
ne fa un dramma, si adatta alla sua condizione e così dimostra molta
più saggezza di tanti intelligentissimi frustrati. Me lo portavo in
furgone, il furgone rosso con cui feci in un anno cinquantamila
chilometri portando gente dappertutto e ogni notte fuggendo coi miei
colleghi senza meta, cosa che i responsabili sapevano benissimo.
Albano saliva con me poi si portava le mani alle orecchie e mulinava
le dita, “magia magia”. Canta zio, mi diceva, canta Ti
amo ti.
E io un po' cantavo con lui ma poi mi stancavo e allora Albano
s'infuriava anzi fingeva, perché aveva una sua insospettabile
arguzia: CANTA! POCCODDIO! E pestava una mazzata da Tyson sul
cruscotto distruggendomelo. Nessuno avrebbe potuto prevalere con quel
mostro tenerissimo. Ma io l'ho visto sempre solo usare quelle mani
per atti d'infinita dolcezza. Non sapeva cos'era la rabbia Albano, se
c'è qualcuno che, da povero di spirito, erediterà la terra questo è
lui. Andammo a Loreto, al santuario, e lui, immedesimandosi in
qualcuno di quei religiosi che sgonnellavano dappertutto, a Messa
distribuiva le Comunioni: cavandole da un sacchetto di patatine, e
quant'era ieratico, perdio. L'altro uso forsennato delle mani era per
sfumacchiare senza tregua, venti, quaranta, cento sigarette al
giorno. Perché gliel'han lasciato fare? Ma è una domanda oziosa,
non potevi impedire di fumare a Albano. Potevi vederlo in uno
qualsiasi di questi paesi che a malapena fanno una provincia, a
piedi, sudato, perfettamente a suo agio in ogni sbando, con la cicca
in bocca. Lo conoscevano tutti e lui, che era demente ma non scemo,
lo sapeva benissimo, sapeva che tanto, prima o dopo, un passaggio per
la comunità lo rimediava. L'ha incontrato l'ultima volta mio
fratello in ospedale, già ombra, già irriconoscibile, solo la pelle
ormai addosso a quel corpaccio patafisico, caso limite di uno che ha
un cancro e manco se ne accorge. “Sto bene” disse a mio fratello
“mi mandano a casa oggi”. È morto poche ore dopo, sicuramente
senza un lamento, senza neanche farci caso.
Diciassette mesi dopo gli
hanno dedicato una piazzetta a Albano. "quella"
piazza a Capodarco, la sua piazza fra la scuola media ed elementare,
diventava “Largo Albano Angelini, giardiniere”. Qui Albano ha
tenuto compagnia a tanta gente che ogni giorno lo vedeva passare,
fumare, curare i fiori, spazzare quando occorreva. Teneva in ordine
la vita. Questa era la sua piazzetta, e lui vi ha costruito il suo
percorso di integrazione aiutando i "normali" con un
sorriso, un saluto, uno scambio di affetto sincero e indifeso. Albano
non ha mai sospettato di avere fatto piccole grandi cose per la gente
che viveva attorno a quella piccola piazza. O forse sì.
E'
curioso, ma Simone Cristicchi ha raccontato in musica la storia di un
matto che regalava ogni giorno una rosa a una infermiera; e
quest'altro matto le rose le curava, le sorvegliava. Si vede che è
destino, che dalla follia nascano i fiori.
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