Come si convive con la
propria irrilevanza? La si accetta, ci si ribella? Ci si rassegna? Io
non mi do pace ogni volta che vedo qualcuno cambiare le cose,
dirottare la vita di chi finisce in un imbuto. Può essere la cronaca più drammatica, ma basta pure un
telefilm, una storia inventata, e vado in pezzi. Io mi sono illuso,
disperatamente, che servisse anche scrivere, che bastasse quel tenere
compagnia: mi sono arreso: non esiste, non vale niente questo
riempire schermi di luce, piccole consolazioni vanitose solo mie, ed
è una folle, arroganza, inaccettabile pretendere che qualcuno si
abbeveri. A cosa, poi? Alle mie contraddizioni, ai miei vortici di
sconfitte? Alla mia impotenza? Non ho avuto il coraggio di mettermi
in gioco sul serio, di scommettere tutto per una causa; non sono
quello che si getta dal ponte e ne riemerge con chi affonda o muore
con lui. Sono uno che galleggia, fingendo di essere cosa non è, chi
neanche sa più. E sono passati gli anni, e adesso è tardi: mancano
le forze, manca il coraggio per salvare chiunque a partire da me.
Nessuna generosità risolutiva, nessun vero atto d'amore. Nessuna commozione davvero meritata, degna di esplodere. Lascio solo
pagine che evaporano. Debbo solo convivere con la mia controfigura, e
tutte le parole spremute non fanno un gesto, non dicono niente.
Testimoniano di una irrilevanza che dovrebbe accettarsi e invece non
smette di mortificarmi, forse per presunzione, forse per la vergogna.
Quanta verità.
RispondiEliminaTi seguo da anni e spesso distratto dai mille e più mille contenuti che il web ci offre. Ti seguo per affetto, per intelligenza, per, alle volte, talune volte, sintonia... ma, anche io mi chiedo: vale la pena?
Sì, forse, sì.