Una parola assorbita da
internet, un suono, una scintilla di ricordo: sono ancora al 1991,
fresco di laurea intuile faccio l'obiettore a Capodarco. Siamo in
tanti quella tornata, una dozzina buona e neppure bastiamo perché
arriva gente di continuo, scout che vogliono provare il brivido della
solidarietà e non sanno fare niente, sfaccendati e sbandati in fuga
da loro stessi o smistati da famiglie che non ne possono più di quei
figli viziati e fuori di testa; ma anche ospiti, gente offesa dalla
vita a nascere o da una febbre, da un accidente qualsiasi, che per i
percorsi della sofferenza è approdata qui. Una mattina ci mandano in
due o tre col furgone e aprendo ci sono cose, bagagli, e, in fondo,
un fagotto rannicchiato: due occhi spaventati ci guardano, qualche
imbecille l'ha sistemato e poi dimenticato lì come uno zaino. Mi
metto a schiamazzare, che è una vergogna, che così non si fa, e lo
zaino si mette a piangere con l'aria di pensare, sono capitato in un
manicomio; poi capisce che stiamo dalla parte sua e lo sguardo
diventa presto malizioso, complice: è nato "lo Spica", dal
cognome che lo caratterizza, come fosse un alieno, come si fa coi
compagni di scuola. "Lo Spica" è piccolino, spigolato,
spastico in modo globale, non riesce a distendersi e viaggia in
carrozzina, poi ha un sacco d'altri problemi (una malattia non è mai
unica), non ultimi anche gravi ritardi mentali. Ma ha senso
dell'umorismo, si diverte con l'accozzaglia di delinquenti che siamo,
presto diventa mascotte e a tutti lui risponde con la parola-suono
che lo caratterizza (e che mi ha fatto scoccare lampi di memoria):
"F... f... finocchio!". Viene dalla Sicilia, la comunità
dove risiede lo ha mandato "in villeggiatura" per un
periodo quassù: lui si ambienta subito, benissimo, è sempre
allegro, sempre disposto allo scherzo e va d'accordo con tutti.
Mangia per otto, e, quando dobbiamo cambiarlo, scopriamo una
dotazione clamorosa, roba da eclissare un Rocco Siffredi qualsiasi. I
commenti, gli sfottò si sprecano. "F-f-ffinocchio!",
risponde invariabilmente lui, accendendo la risata collettiva. Gli
obiettori sanno essere carogne: se un residente non ci piace, non
esiste infermità in grado di impietosirci, questa è la verità. Ma
lui ci garba parecchio, motivo per cui, finita la giornata, sistemate
le ultimissime incombenze, verso le due, le tre lo convochiamo
d'autorità dopo aver rubato qualche macchina, destinazione ignota,
può essere qualche locale nottambulo o semplicemente una fuga
nottura che può raggiungere l'Abruzzo come la Romagna: l'importante
è rincasare entro le 6, perché mezz'ora dopo io devo aprire il bar.
Sono andato avanti così per tutto un anno, mandando giù di tutto
compresi un paio di pacchetti di Marlboro al giorno, alla fine non
avevo più difese immunitarie e sono allegramente rimasto per tutto
l'anno seguente con la febbre a 38 fissa. Lo Spica è facile da
portare, manovrabile, carrozzina leggera e lui una piuma: entra bene
anche nella Uno Rossa, che per far prima ho imparato a guidare senza
frizione, cambio istintivo. Quell'anno avrò fatto tra le altre cose
un centoventimila chilometri, sono arrivato a Secondigliano con
Tonino, ad Abano Terme con Mariuccia e un paio di volte ce la siamo
vista brutta per via di camion ubriachi che ci puntavano contro. Una
vita letteralmente sulla strada, irresponsabile e carica di
responsabilità, sempre incazzata ma felice, perdio. Lo Spica pure
era felice mentre si guidava nella notte, sghignazzava e, di tanto in
tanto, proprompeva il suo grido di guerra: "F-f-ffinocchi!".
Tutto l'inverno siamo
andati avanti, poi, col disgelo, è arrivata una lettera e lo
rivolevano in Sicilia. E lui non se l'aspettava, tornato bambino
piangeva disperato perché, oramai, era certo di restare lì per
sempre. Ma noi sapevamo che non sarebbe successo, e, arrivata la
conferma, piangevamo con lui. Una mattina lo abbiamo sistemato sul
furgone rosso dove era arrivato, un inverno prima, posto d'onore
stavolta, e lui, dopo mille promesse di scrivergli, di farci vivi,
piangendo ci salutò con un ultimo, dirompente, spezzato
"F-f-f---finocchi!".
E' difficile spiegare
cosa si prova quando un amico va via, un amico così particolare. In
Comunità si fa presto a farsi amici a tempo, gente con cui condividi
le faccende più intime e imbarazzanti, che in quella situazione non
imbarazzano più nessuno. E ti abitui alla scadenza, ti cresce come
una difesa nel cuore. Quella volta no. Nessuno accettava
quell'ingiustizia e reagimmo, noi obiettori, correndo ancor più di
prima, fuggendo ancor più la notte, e facendo sempre più casino. Ne
combinammo tante che, usciti da lì, uno poi si fece prete, forse per
il rimorso. Certo, non eravamo santi, ma angeli sì: non ricordo
nessuno, o quasi, che si tirasse indietro, e le situazioni da
affrontare erano mai facili, spesso complicate, non di rado tragiche.
A volte surreali: la mia amica Pia, che dal girello tutti ci
comandava come un generale sul suo scanno, mi aveva preso in
predilezione, per cui ricorreva a me per le stronzate più divertenti
(per lei). Una volta, dopo essersi accertata che stavo effettivamente
dormendo, sfinito dopo chi sa quali corvées, mi mandò a svegliare,
che c'era un topo in sala tv da cacciare. Scendo in pigiama, tirando
giù i santi di tre calendari mentre lei sghignazza maligna, ed
eccola la pantegana, un mostro enorme. E come filava. Ci avrò messo
un'ora a finirla a bastonate con una scopa. Alla fine, mi vendicai
giocando a golf col ratto sotto il girello di Pia, che urlava di
divertimento e di terrore. "Cazzo ti ridi bastarda, adesso te lo attacco al girello come una palla di Natale". Pia è una delle persone che mi mancano di
più, quando sono andato al cimitero di Capodarco a cercare la tomba
di Emmanuel, prima ho trovato la sua e ho avvertito un dolore fisico,
come se qualcuno mi stesse pestando. La vidi minuscola nella bara,
sembrava perdersi lì dentro, e quel momento non è mai passato.
In estate, quando mi
preparavo a congedarmi dall'anno di servizio civile, mi arrivò una
cartolina. Dalla Sicilia. Sopra, una sola parola, maiuscola e
perfettamente leggibile: FINOCCHIO!
Splendido racconto.
RispondiEliminaAnche io porto nel cuore i vecchietti (dolcissimi) ed i bambini (ferocissimi) che hanno segnato la mia esperienza di servizio civile.
Come sempre, grazie per questi scorci di umanità che ci regali.
Nicola
Come sempre occhio fino. Ciao
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