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Succede di continuo che qualcuno -
anche stamattina, un'amica, a microfoni spenti - mi dica: mah, sai,
tu sei uno che va giù duro, uno che spara, un fustigatore. La cosa
non mi dispiace né mi lusinga, però capisco che di me si percepisce
una corrente, una tensione, e questo mi fa pensare. Sempre. Perché
mi costringe a specchiarmi in quel volto di bambino che ho perduto
chissà quanto tempo fa, e chissà quando. Era un bambino che correva
sempre in soccorso, che non conosceva l'aggressività ma solo
l'affetto, e che non sapeva difendersi. Era un bambino che ascoltava
i fili d'erba crescere, e sapeva percepire il disagio dei compagni.
Era il bambino che le prendeva, che non sapeva reagire, e che, nei
combattimenti giocati, a volte subiva per dare una consolazione a chi
era ancora più debole di lui. All'ultimo dei compagni. Adesso mi
dicono che sono terribile, ma io non direi di avere mai inteso questa
faccenda dello scrivere come rivalsa: no, è tutto il contrario. E'
ancora quel bambino che chiama, sia pure con altra voce. Perché non ha saputo mai guarire. Perché,
oggi come allora, non ha mai saputo sopportare le cose storte. Perché
veniva preso da sgomento se davanti a un sopruso tutti tacevano.
Perché forse capiva troppo in fretta lo strazio di un vivere che ha
sempre rintracciato dappertutto, in un ospedale come in mezzo al
mare, in un carcere come in una casa troppo grande, anche se di due
sole stanze. Perché nei solchi di ciascuno ho visto il dolore, e la
felicità era solo una stupida bugia. Perché continua a succedermi
quel che sempre mi è successo in vita mia. Ci sono, mettiamo, due
pizzerie, una attaccata all'altra. Una è umile, modesta, la coppia
di pizzaioli l'ha messa in piedi con la fatica nei sorrisi, coi
sacrifici di domani, cucina con amore, tutta roba buona, fresca,
tiene i prezzi bassi, e, fuori, le seggioline di legno colorato
aspettano tutte intorno alle tovagliette di carta allegra a
quadrettoni. L'altra è truce, arrogante, volgare, modaiola, si sa
che non sanno cucinare, che la roba è cattiva, la gestione
malfamata, la clientela sordida. Però questa è piena di gente,
nell'altra non entra nessuno. Mai nessuno. I pizzaioli carogne
guardano i pizzaioli umili, li irridono, li infamano. Gli altri non
rispondono, non saprebbero farlo. Invece moltiplicano l'amore e gli
sforzi, si promettono che domani tutto cambierà, si stringono più
forte, fino a farsi male, nella speranza più disperata. Ma non serve
a niente. Fino a che si arrendono, calano l'ultima serranda e
lasciano lì tutto, a marcire di tempo e di rimpianti, e non tornano
più. Allora io un bel giorno passo in Vespa davanti a quella
carognata che è la vita, e non posso fare a meno di urlare.
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