Domenica, a zonzo con la
Vespa, siamo finiti a Loreto. Vent'anni quasi che non ci tornavamo:
ecco due ragazzi appena fidanzati, lei con un tailleurino blu e il
foulard, lui con la giacchetta stazzonata. E tanta tenerezza e,
chissà, qualche dubbio. Adesso siamo altro, un poco appesantiti, ma
Loreto è lo stesso di sempre, un passo nel passato, una fermata del
tempo e mi piace per questo, con la paccottiglia mistica, con le
botteghe che non cambiano uno spillo e gli alberghetti del turismo
religioso. Tutta una trama di palazzi, alcuni decrepiti, che odorano
di suore e sagrestie, di ostelli per pie fanciulle che forse non
esistono più, ma l'aria invece esiste e pesa, dove c'è un Santuario
questo impregna di sè il luogo che lo conserva, e tutto infine si
riferisce a lui. E' la forza della tradizione. Loreto è peraltro un
posto strano, salendoci in Vespa trovi di continuo cartelli stradali
che lo danno a 4 chilometri, tu macini strada e stai sempre a 4 km
come in un incubo fino a che non ti ci trovi dentro! Lo annuncia una
palestra di boxe estrema e tu ti senti straniato, perché pensi che a
Loreto siano tutti miti e remissivi come fraticelli. Ma io in verità
una volta sentii un lauretano bestemmiare come un livornese, e ci
restai malissimo. Ma dentro, la Santa Casa è al suo posto; tutto è
al suo posto in Basilica, sotto le arcate, nella grande piazza dove
da ragazzino ci si fermava in tre o quattro famiglie e, all'ombra
della fontana, mio zio Mimì recitava Leopardi a memoria, "e
quinci il mar da lungi e quindi il monte". Adesso non c'è
rimasto quasi più nessuno e se ci penso mi sento sprofondare nel
vortice della fragilità, come quando nel sonno ti senti precipitare
e allora ti svegli. Ieri c'era non so che rassegna di corpi
bandistici, tutto un zum-zum, una cosa fragorosa e affettuosa, pieno
di gente, di colori, unico neo le camionette dell'esercito e dei
carabinieri in assetto di guerra, "operazione strade sicure".
Una scena del genere l'avevo vista solo davanti al Santo Sepolcro di
Gerusalemme. Entro e osservo il grande Crocifisso sofferente e mi
chiedo, ma che gli avrà fatto di male agli islamici che vogliono
spazzarlo via insieme a noi tutti? E ci riescono, le camionette in
strada testimoniano di una sconfitta, una sottomissione, chiamala
come vuoi ma non dovrebbero stare qui, dove nessuno fa male a
nessuno. Il turismo mistico ha facce stravolte, di visionari, di
disadattati se vuoi, oppure semplicemente di uomini e donne antichi,
con vestiti fuori moda, con mocassini e sandali lontani, ma gente
pacifica, inoffensiva, ieri nella folla ho intercettato persino punk
e donne più scoperte che no, comunque senza l'aggressività delle
strade e della società incarognita, perché il Luogo è potente e
permea di sè anche i distratti e i curiosi. Ed io ho bisogno di
questo. Io a Loreto vedo la Pace e mi piace lasciarmi stordire da
quelle persiane e quelle cappelle, da quei portici e quei pellegrini
felpati, da questo svolazzar di tonache che in giro non le vedi più,
perché anche i preti e i frati si vergognano della loro divisa. Io
ho bisogno di questa pace ovattata. E non sono una mammola, ho avuto
una vita spericolata, ho esagerato anch'io, ma arrivato a questa età
sento il bisogno di rifugiarmi, di sentirmi protetto, perché questa
vita me la sono smazzata sempre da solo, pericoli compresi. Io qui
sento la Pace e mi piace osservare la giovane coppia che, seduta
sulle scale da qualche parte nella Basilica, si scambia un
braccialetto mormorando: recitano il rosario, li sento distanti da me
ma non così tanto. Eccolo, il mio cristianesimo: qualcosa che mi fa
ritrovare anche se non so più se e a cosa credo, qualcosa che posso
ritrovare perché è parte del mio esistere: e non ci trovo niente di
male, io uomo dei dubbi e dei tormenti senza consolazione, senza
illusione. Poi entro nella Casa e anche la Madonna Nera, che così
spesso bestemmio, sta sempre lì: non dovrei osare, ma una Grazia la
chiedo lo stesso, perché ho sempre bisogno di una Grazia, io uomo
incapace a farcela nel mondo. Uscendo, mi viene voglia di rivedere
anche la Cattedrale del Duomo di Milano e mi stupisco, ancora una
volta, di quanti anni siano passati senza più esserci entrato. Debbo
fare presto, non ho più tutto il tempo di prima, tutto il tempo che
voglio.
"Siamo ancora qui",
dice mia moglie pronunciando quello che penso. C'è un sole rosso
incandescente che va giù dietro una nuvola, le botteghe abbassano la
serranda, mi trafigge un raggio di malinconia che non fa male; non
ricordo chi disse "Ho sempre voluto una vita tranquilla: non ne
ho mai avuta una", ma fa per me, adesso più che mai. Non lo so
cosa abbia fatto di male questa fede che mette la tolleranza avanti a
tutto, ma so che le camionette in assetto di guerra lì in Basilica
mi sono sembrate una necessità ingiusta, perfino pazzesca. Scendiamo
a valle pian piano, tengo la Vespa al minimo e ci confondiamo nel
tramonto, piccola macchia rossa inghiottita dalla sera.
Pezzo da commozione. Anche io non ci torno da più di vent'anni a Loreto. I miei genitori ci portavano me e mia sorella quando trascorrevamo le vacanze a Pesaro. Ho un ricordo limpidissimo di mio padre che chiede a un frate di dire una messa per la mia nonna materna che era morta l'anno prima, nel 1987. Dal cognome lui risalì alla nostra zona di provenienza. E visto che mia nonna si chiamava Maria Bernardina Romilda ci fece tutto un discorso sulle donne che stavano in quel nome.
RispondiEliminaA me è successo recentemente di andare nel santuario di San Gerolamo, vicino a Lecco, per raggiungerlo devi camminare in salita, a un certo punto si apre la scala santa che i fedeli compiono in ginocchio. In quel momento sono stato tentato di farla anche io per ripulirmi la testa da tutto il dolore che ho dentro. Non l'ho fatto ma non so perché quelle due, tre ore trascorse in quel luogo appartato, con la stessa umanità che hai descritto nel tuo pezzo, mi hanno permesso di respirare e anche di piangere. Ma con serenità.
Ciao
Andrea