Via Teodosio, 44, quanta
Milano in quel mattino, quanto sole. E i miei si sposavano oggi. E
dieci mesi dopo, io. E ancora mi prende la voglia di tornare dove
qualcosa di me rimane, al fonte battesimale, alle vetrate che
filtravano luce dalla chiesa squadrata uscita dalla mente di Giò
Ponti. E ci andavo per mano a mia madre e sentivo che il mondo non
poteva farmi né volermi male. Pochissimi sopravvivono ancora al mio
battesimo: oggi mia madre ha la tosse, ed io vado e vengo da casa sua
con le medicine. La trovo sempre con lo straccio in mano, quelle come
lei toglile la casa da pulire, anche se è sempre a specchio, e le
ammazzi. Poi si lamenta, "Non ce la faccio più". Ma non ha
mai fatto altro, anche mio padre la rimproverava. Ed io sento
l'impulso di tornare, come una rondine, al nido del passato: la
scuola, le strade. Invece viaggio in Vespa per asfalti non miei, ma è
andata così. Cinquantatre anni fa, giorno di promesse: sarebbe stata
una vita difficile per loro, non priva di gioia ma invecchiando
sempre più crudele: l'ultima parte uno stillicidio, mai la serenità
che spetta ai vecchi. Ed io non lo so quanti, potendo assistere allo
spettacolo della vita che li attende, accetterebbero di calarsi nella
parte o non piuttosto sceglierebbero di uscire di scena, fino a che
sono in tempo: io, senza dubbio, tra questi ultimi, perché la vita
non può essere solo apnea. Ma va così, due giovani una mattina
vanno in chiesa a promettersi "in salute e nella malattia",
e poi ci sono i sorrisi e i pasticcini - niente di più, perché
l'Italia del boom restava modesta, quasi per tutti. Dieci mesi dopo,
io: "ma un trionfo poi non è", dice una canzone. Un bosco
di rimpianti io attraverso, e gli album li ho bruciati come porti
dietro me. Non c'è niente da festeggiare, già ricordare è uno
strazio, dolce se vuoi ma non meno crudele. Salgo i gradini e penso
che questo è un mondo più comodo e più brutto di prima e anch'io
ne ho troppo addosso ormai. Poi vedo mia madre sul letto, lo sciroppo
sul comodino, e quello che rimane di quel giorno è l'urna con dentro
suo marito. E i gatti che le tengono compagnia, e io le chiedo "hai
bisogno di qualcosa?".
Io:papà te lo ricordi il boom?
RispondiEliminaLui:non lo so,io ho sempre lavorato fin da quando avevo 6 anni